Il corpo che siamo

/ 28.09.2020
di Lina Bertola

Non solo informatica e non solo inglese: in questo inizio di autunno sono davvero molte le offerte di corsi di danza, dal tango alla salsa, dall’hip hop alla danza del ventre. Queste proposte sembrano voler rispondere al bisogno di un contatto con il proprio corpo diverso dalle consuete percezioni che ne abbiamo. 

La danza ci offre esperienze diverse, ad esempio, da quelle che alimentano gli sguardi della medicina su un corpo indagato, misurato e curato, sempre diviso tra salute e malattia. Capita a volte che questo corpo non sappia davvero parlare di noi: a volte ci sentiamo male, davvero male, senza riscontro medico di alcuna patologia, oppure, al contrario, stiamo davvero bene eppure «soffriamo», senza sentirlo, di una brutta malattia. Le cosiddette diagnosi precoci sono l’ultima frontiera di una medicina che accoglie il corpo indagato e lo trasferisce in un altrove che sta sempre un po’ da un’altra parte rispetto al nostro esserci e al nostro sentimento della vita. Poi c’è un’altra esperienza del corpo che abita sempre di più il nostro sentimento del vivere, ovvero l’esperienza di un corpo esibito che vuole esistere ed essere accolto e apprezzato, inseguendo immagini di bellezza disegnate, e presto cancellate, sulla superficie del tempo. 

Non dobbiamo lasciarci trarre in inganno dalla grande attenzione che gli viene oggi riservata e che ne offre una rappresentazione molto diversa da quella di un corpo limite o di un corpo mancante. La cultura dell’esibizione attribuisce all’apparire del corpo un grande valore identitario: mi mostro affinché gli altri possano guardarmi e nei loro sguardi io possa trovare la certezza di esistere, di essere qui. Eppure questo corpo curato, potenziato ed esibito, in realtà non si è affatto liberato dalle gabbie simboliche in cui è stato fin qui pensato. C’è ancora sempre un io che lo pensa, che se ne occupa, che lo cura e soprattutto che lo controlla. Per quanto valorizzato ed enfatizzato nella sua presenza, il corpo rimane in silenzio. In simili esperienze c’è sempre un silenzio paradossale del corpo. È il silenzio del corpo che siamo.

Immaginiamo un’incursione dentro una videochiamata tra amiche. Ho mal di testa, esordisce la prima, mi sa che oggi sono stata troppo al computer. Anch’io ho qualche problema, risponde l’altra, ho le vertigini e ho la nausea, ho fatto una gita in barca nel pomeriggio e c’era mare brutto. Dal suo letto, spunta la voce della terza amica: purtroppo, ho l’influenza, e non potrò andare a ballare stasera. Nel corpo però, e per fortuna, non abbiamo solo problemi. La prima è comunque felice perché dopo la cura dimagrante si ritrova ad avere un corpo bellissimo; l’altra, che fa la stilista, lo è altrettanto: ha molto successo ed è molto orgogliosa quando le dicono che ha mani di fata. La terza, che ama tanto ballare, sarà a sua volta soddisfatta di possedere un corpo sempre attraversato dalla musica. In racconti come questi ciascuno di noi potrebbe riconoscersi. In effetti la nostra esperienza, nelle diverse situazioni, piacevoli o dolorose che siano, si esprime con parole e discorsi che raccontano il corpo come qualcosa di cui siamo in possesso: abbiamo un corpo, abbiamo a che fare con un corpo. 

Questa rappresentazione del corpo è un simbolo culturale molto potente in cui si esprime una visione del mondo e della vita. Fin dall’antichità il corpo è stato perlopiù separato da un , da un io identificato e pensato come anima o come ragione. Gli effetti di queste radici culturali sono visibili ancora oggi in una razionalità che continua a voler tenere sotto controllo le emozioni e i sentimenti che risuonano nel corpo senziente. 

La danza si offre allora come una postura diversa nei confronti della vita in cui percepire quel sentimento di completezza, di presenza a noi stessi, sempre più infragilito nei mille frammenti delle nostre giornate, e in cui sperimentare il legame inscindibile tra corpo e anima. Non penso al danzare del danzatore che si esibisce sul palcoscenico, penso al danzare di ognuno di noi come gesto primordiale, originario e libero da ogni codice di senso.

Stamattina ho ballato, come spesso mi accade, nel silenzio e nella solitudine della mia stanza. Ora, davanti allo schermo, cerco di nutrire le parole che scivolano sulla pagina con quel vissuto sempre così straordinario: con l’esperienza di un corpo che sa condurti al di là del corpo stesso a intravedere l’essenza del tuo esserci. Danzando sei movimento senza voler andare da nessuna parte, sei nel fluire della vita senza uno scopo ulteriore. Sei finalmente corpo, voce autentica dell’anima e sua intima dimora.