Il convento passa quel che resta

/ 02.05.2022
di Ovidio Biffi

È lunedì di Pasqua. La Pasquetta di una volta. Mi sveglio molto presto e rileggo alcune proposte di «La Lettura». Poi mi vien l’idea balzana di guardare l’offerta televisiva della giornata. Scorro i programmi Rsi e ancora una volta ritrovo la convinzione di quanto televisivamente noi siamo messi male. Pensando di parlarne nella rubrica che state leggendo, avverto però anche il timore di dover smettere dopo poche righe, o a metà cammino, di fronte a una subdola domanda: ma chi me lo fa fare? Sulle prime sono tentato di scegliere un altro tema. Alla fine mi convinco che vale la pena resistere, facendo affidamento sulla bonarietà di chi il settimanale lo regge, e anche di chi lo legge.

Inizio chiedendo di tener presente che quanto riassumo è l’offerta di una giornata di una televisione che incassa oltre 300 milioni all’anno. Su La 1 il mattino non ha l’oro in bocca: spara sei telefilm di fila, fino alla mezza, quando arriva un telegiornale piccino picciò a dirci che nel mondo reale la vita però continua e i 1000 della Rsi stanno guardandosi attorno. Ma ripartono film e telefilm, fino alle 17, quando si aprono le porte e la Rsi va… fuori, sul territorio, quel tanto che basta a tirare l’ora degli aperitivi; pardon: dei giochi che da anni ormai nel pre-serale premiano ideatori e presentatori più che concorrenti e spettatori. Il gong della «Comano Corporation» rimbomba alle 20: con l’informazione finalmente inizia qualcosa che può essere definita televisione e durerà tre orette circa.

Vediamo l’alternativa su La 2: dalle 6 di mattina e fino a mezzogiorno vi intrattiene facendo vedere in diretta… come si fa la radio! Poi inizia non l’ora, ma l’era delle ripetizioni, irremovibilmente appaltate ai giochi del giorno prima su La 1. Nel primo pomeriggio, in mancanza di qualche diretta sportiva, si cambia: in replica ci sono gli stessi telefilm de La 1 o qualche film datato (martedì 19 si è esagerato con un Charlot soldato del 1919!) o i sempre imperdibili documentari. Solo in prima serata può capitare un «live» con dibattito, una diretta sportiva in notturna oppure qualche lungometraggio un po’ più recente. Riassumendo, sull’arco di una giornata, grosso modo per le prime 12 ore, la Rsi offre sul primo canale telefilm e giochi, sul secondo radio in diretta, telefilm e ripetizioni. Televisivamente parlando «resistono» in media circa 4 o 5 ore di proposte «fresche» garantite da informazione, inchieste e sport, condite con film, intrattenimento, un nonnulla di offerte leggere e, ogni tanto, leggerissime spruzzate di cultura (proibito pensare a comicità, autocritica ecc.). Pensate che io abbia sbagliato prendendo i programmi della Pasquetta? Ricredetevi: il lunedì successivo le cose sono addirittura peggiorate!

Lo so: sono più di due anni che c’è una pandemia, sono due mesi che c’è una guerra quasi in casa, ed è un anno che c’è un nuovo direttore a Comano. Ma mi chiedo: solo a me viene l’idea di vedere in servizio un dr. Merlani dei programmi della Rsi, abilitato a perseguire i virus (vuoti) del palinsesto e a predisporre vaccinazioni contro l’ignavia e il continuo impoverimento culturale di televisione e radio? Una cosa è certa: senza un simile «decisionista» sarà difficile stabilire se sotto il brand Ssr-Rsi ammantato di servizio pubblico ci sia ancora lo stesso media che fino a qualche anno fa raccoglieva consensi e persino voti, o se invece è affidato ad automatismi che mettono prodotti congelati o riscaldati nei palinsesti del canone, lasciando le vivande più buone (dalla Champions di calcio ai film e alle serie televisive che «spopolano») ai reparti internet di Blue, Netflix, Disney+, Viacom ecc. E di fronte a questa «armata Swisscom», che avanza a suon di abbonamenti mensili e ormai determinata a distribuire in streaming anche news e pubblicità, che fanno Ssr e Rsi? Sperano di poter resistere sventolando quel che resta: l’alibi dell’informazione, «turris eburnea» del servizio pubblico. Un po’ come fa la Posta con il «chilometro zero» per proteggere quel che resta del suo monopolio.