Le cronache quotidiane danno con grande frequenza notizie di episodi di violenza: casi di violenze domestiche, scontri fra bande giovanili, aggressioni verbali o fisiche, risse degli hooligans negli stadi… Nel distretto di Lugano, nel primo trimestre di quest’anno, le forze dell’ordine sono dovute intervenire novantun volte per casi di violenza domestica: un fenomeno che, a quanto pare, fa registrare una crescita. E proprio per questo dallo scorso novembre la polizia luganese ha designato un agente appositamente preposto a questa problematica. Anche dal Consultorio delle donne vengono segnali preoccupanti: le donne che in Ticino hanno chiesto aiuto lo scorso anno, denunciando percosse e abusi dal parte del compagno, sono aumentate del 32% rispetto all’anno precedente. In Francia, come informava «Le Monde» pochi giorni fa, il femminicidio è diventato una «urgenza nazionale»: dall’inizio dell’anno si sono avute 73 vittime.
A che si deve questa crescita della violenza? Ovviamente, non è affatto detto che il fenomeno sia tipico del nostro tempo: l’aggressività e la violenza percorrono tutta la storia dell’uomo e, anzi, uno studioso come Steven Pinker ha potuto scrivere un libro dal titolo Il declino della violenza. Sulla base di dati d’archivio, Pinker dimostra che un calo della violenza rispetto a epoche passate esiste, e può addirittura essere quantificato. È ovvio che il potenziamento delle normative giuridiche, dei servizi di polizia e delle istituzioni giudiziarie ha contribuito a contenere e a ridurre le forme di aggressione: non a caso Freud scriveva, nel 1915, che lo Stato ha vietato a ogni individuo l’uso della forza non perché la voglia abolire, ma perché ne vuole avere il monopolio, come del tabacco.
Ma – per quanto possa sembrare paradossale – è appunto sul tema della giustizia che occorre soffermarsi per comprendere, almeno in parte, la tendenza umana alla violenza. Sono stati condotti molti esperimenti che dimostrano come il senso della giustizia si debba considerare innato in ogni individuo. Ad esempio, ad un bambino di poco più di un anno vengono mostrati tre pupazzi che, manovrati opportunamente, recitano una scenetta: il pupazzo al centro della scena lancia una palla a quello di destra, che poi gliela ripassa. Poi la palla viene data al pupazzo di sinistra, che però scappa portandosela via. Alla fine della scenetta il pupazzo «buono» e quello «cattivo» sono stati mostrati al bambino; di fronte a entrambi era stato messo un dolcetto, e al bimbo è stato chiesto di prenderne uno. Come previsto (e come ha fatto la maggior parte dei bambini sottoposti all’esperimento), il piccolo ha preso il dolce del personaggio «cattivo», quello che era scappato con la palla. Non contento, si è proteso verso quel pupazzo per colpirlo sulla testa.
Possiamo dunque pensare che «buoni si nasce» (come dice il titolo del libro di Bloom dal quale ho tratto questo esempio): il bisogno di giustizia ce lo portiamo dentro, fin dai primi anni di vita. E questo, forse, può aiutarci a capire anche molte esplosioni di violenza. Supponiamo di essere in coda da una decina di minuti per arrivare a uno sportello, e la fila lì davanti fa capire che l’attesa sarà ancora lunga; ed ecco che arriva di fretta un tale che passa di lato, e poi s’infila con prepotenza tra i primi posti: la voglia di tirargli una sberla di sicuro la si prova, anche se, da persone civili, ovviamente ci si trattiene. Quando poi l’ingiustizia subita è avvertita come ben più grave, l’impulso naturale alla vendetta può prevalere. Un uomo che viene arrestato per aver ferito l’amante della moglie è – dal punto di vista della legge – un aggressore e l’amante è la vittima; ma, dal punto di vista del marito, è lui la vittima, e l’amante è l’aggressore. Proprio per questo, annota Pinker, «la maggior parte degli omicidi sono in realtà casi di pena capitale in cui da giudice, giuria e boia funge un privato cittadino».
Oggi, poi, in un’epoca di narcisismo dilagante, anche una ferita all’orgoglio o il non sentirsi apprezzati come si vorrebbe possono indurre a «fare giustizia»: se i tifosi di una squadra perdente se la prendono con l’arbitro o con chi tifa per l’avversario, è anche perché la sconfitta è un oltraggio personale che chiede vendetta. In fondo, è così da sempre. Caino fu il primogenito di Adamo ed Eva; poi nacque Abele. Entrambi i fratelli rendevano sacrifici a Dio, ma Dio apprezzava solo quelli di Abele (nel testo biblico non si dice perché): così Caino uccise suo fratello.