L’insegna al neon color lampone, all’angolo tra boulevard Georges Favon e place du Cirque, le sere magari tardi, era già un primo indizio di conforto. Poltrone in pelle color cognac, tende vinaccia, abat-jour zafferano, swing malinconico-menefreghista di Django Reinhardt, coppette retrò in peltro per i gelati, appassionate lettrici di romanzi russi, studiosi pazzi di Michel Foucault, alcuni degli ingredienti che componevano poi l’atmosfera atemporale e oppiacea di quel luogo per un periodo quasi una seconda casa. Il cui nome, in francese, suona sempre un po’ come il rimorso. Il Remor, dove entro ora, in realtà è un nome di famiglia originario di un paesino all’inizio di una valle ai piedi delle Dolomiti. Forno di Zoldo, in provincia di Belluno, da dove nel 1919 partirono per Vienna, i tre fratelli Remor. Nel 1931 Giorgio Remor prende in mano questo caffè di Plainpalais fondato dieci anni prima dal fratello Peppino che ne aprirà poi un altro, lungo la Croisette. Il sorriso di Liz Taylor giovanissima in costume da bagno e camicia davanti al Remor di Cannes, a braccetto con due marinai, sarebbe sempre stato un buon motivo per sedersi al tavolino dove era appesa quella foto. Eppure spesso, per via invece della sua posizione defilata, era occupato, di solito da coppiette o egittologi.
Oggi è libero, mi dirigo comunque al mio tavolo preferito vicino alla finestra, tirata sempre su con il bel tempo. Anche quando faceva bello non ricordo di essermi mai seduto fuori in terrazza; da questa finestra entra in parte il mondo fuori con i passanti, gli alberi, il traffico eccetera e allo stesso tempo però sei dentro il café-glacier Remor di Ginevra (374 m). Dove una fine pomeriggio a inizio giugno mi è tornata in mente la torta di mele con una pallina di vaniglia sopra. Non c’è mai stata sulla carta, era ogni tanto la mia ordinazione speciale per nessuna occasione in particolare. Così, una tradizione episodica da quando ho letto ventisei anni fa Sulla strada (1957) di Kerouac, dove la torta di mele con il gelato sopra diventa un po’ il leitmotif di Sal Paradise seduto nei diners americani. Mi alzo per buttare un occhio nella vetrinetta del pianoforte modificato in mobile per dolci. La vaniglia non è mai mancata, mentre certe torte o alcuni gusti dei gelati, scritti a mano con il gesso, su una lavagnetta appesa, a volte c’erano a volte no.
Sulla carta ritrovo con gioia il sorbetto al cioccolato nero e il cassis, i due gusti feticcio, opera di Georges Félix Remor. Classe 1935, figlio di Giorgio Remor al quale assomiglia come una goccia d’acqua, al timone del Remor dal 1975 ai primi anni duemila e che ora viene solo «il lunedì, per un paio di ore» mi dice la cameriera. Al comando c’è il figlio quarantaseienne Antoine che ha ereditato anche il gusto per gli artisti amatoriali deprimenti come quello che ha decorato il soffitto con una pioggia di ombrelli rossi. Il sorbetto al cassis è ottimo come sempre: da decenni alla scuola di orticoltura di Lullier, un filare di Ribes nigrum della varietà noir de Bourgogne è riservato per Monsieur Remor. La coppetta in peltro, con su inciso il nome, è quella di sempre. La scritta, uguale all’insegna fuori, la cui erre è l’unico corsivo vero con la gamba che si allunga sotto la e, si ritrova – vicino all’immancabile bicchiere d’acqua – sul piattino pure di peltro usato per i caffè o cos’altro. Il cucchiaino è quello con la punta orizzontale come pala della neve, per affondare meglio nel gelato. Inezia fondamentale che testimonia come lo spirito del Remor sia rimasto inalterato. Certo, non è più il Remor di una volta con solo tre vini rossi da scegliere serviti dal mitico Alex volante con gilet e cravattino in caraffe di vetro bellissime. Ma neanche il Remor di una volta era il Remor di un tempo, precedente alla mia frequentazione, e così via per generazioni fino al 1921, quando ha aperto i battenti come Salon des Glaces Américaines. E nemmeno io, grazie al cielo, sono quello di una volta.
Una vena di nostalgia è naturale ma i mutamenti minimi del Remor in un ventennio, in confronto a quelli del mondo, sono pari a zero. E i mutamenti del mondo, in novantotto anni, benché colossali, non sono niente rispetto a glaciazioni, ritiri dei ghiacciai e così via. Bisogna pensare in millenni e cogliere il giorno. Ecco laggiù in un angolo il Cornelis che beve una birra alla spina: afrikaner giramondo che ha visto i Sex Pistols in Norvegia nel 1977 ed è sbarcato qui a Ginevra per amore. «Con un po’ di amore tutto passa» mi aveva detto qui una sconosciuta, a proposito della sua pazienza nei confronti del suo noioso barboncino iperattivo e viziato. Chissà qui, in questo posto eterogeneamente frequentato, a volte a dipendenza dell’orario, quanti destini incrociati, in quasi un secolo di vita. Nel giugno 2021 il Remor compirà infatti centanni. Gli abat-jour zafferano fanno ancora il loro mestiere, la colonna sonora è sempre Django Reinhardt, le possibilità di concentrarsi invariate e le stesse delle probabilità di distrazione. E così mi lascio andare e ordino una bella fetta di torta di mele alla Kerouac.
Entra ora in scena un attore di teatro, strepitoso un tempo in un monologo di Koltès, distrutto ormai dal demone dell’alcol. Due adorabili vecchiette del quartiere si rallegrano della loro coppa di café-glacé debordante di panna.