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Il buon uso della libertà

/ 05.10.2020
di Silvia Vegetti Finzi

Buongiorno Silvia, 
mi permetto questo tono confidenziale perché la leggo da tanto tempo ed in genere condivido le sue analisi; se invece la considera un’arrogante interferenza, beh, anche le mail-box hanno un cestino dei «bit stracci».
Prima ho letto l’articolo di Peter Schiesser «Segnali di paranoia collettiva» e poi la lettera della sig.ra Maria; da pinguino ignorante quale mi ritengo nella lettera vedo un qualche aggancio con quanto descritto da Schiesser, ma è solo una mia opinione, mentre l’ultima frase della sig.ra Maria: «che cosa me ne faccio della mia libertà?» m’ha fatto tornare in mete una vecchissima gag da bar che le riporto.
Nel gruppo degli amici storici del bar c’è anche Antonio che un giorno annuncia d’aver comprato un super motoscafo e che per provarlo aveva percorso la tratta Lugano-Caprino in 15 minuti; coro di meraviglia degli amici per la performance. Il giorno dopo all’aperitivo arriva Antonio tutto raggiate con la notizia che «oggi a Caprino ci sono andato in 13 minuti». Altro coro di oh, e così per altri giorni sempre con una prestazione migliore del motoscafo.
Oramai gli amici ogni volta che arriva Antonio gli chiedono in quanto tempo ha raggiunto Caprino fino a quando Antonio dà la notizia d’aver venduto il motoscafo; alla domanda stupita degli amici del perché della vendita Antonio rispose: «Ma mi dite che c’andavo a fare tutti i giorni a Caprino?». 
Come vede il punto cui è arrivata la sig.ra Maria è noto da abbastanza tempo da venir inserito in una gag da bar.
Con i migliori saluti. Cordialità. / Diego

Ma no, caro Diego, 
non considero certo la sua lettera un’arrogante interferenza per tre ragioni: perché permette di riaprire il dibattito sul buon uso della libertà; di riprendere l’editoriale di Peter Schiesser, «Segnali di paranoia collettiva» che considero profondo e pertinente e infine perché ci aiuta a sorridere delle difficoltà del nostro tempo.

Per chi non ha avuto modo di leggere i due scritti citati da Diego (pubblicati entrambi sul n. 37 del 7 settembre 2020) o li avesse dimenticati, provo a riassumerli brevemente. 

La signora Maria, esasperata dalla convivenza forzata indotta dal lockdown, al grido di BASTA!, aveva preso la decisione di andarsene di casa lasciando al marito i due figli adolescenti. Ma ora, rimasta sola, presa dall’angoscia di un futuro tutto da inventare si chiede: «che cosa ne me faccio della mia libertà?». È un interrogativo che si era già posto lo psicoanalista Eric Fromm nel libro Fuga dalla libertà, scritto nel 1941, nel mezzo di un conflitto mondiale e di un secolo che aveva visto le masse conformarsi a terribili dittature. 

In un clima diverso, Peter Schiesser, si interroga sull’inquietante presenza del cosiddetto «negazionismo», un atteggiamento minoritario ma sintomo del serpeggiare nella collettività di forme di paranoia. Non si tratta, secondo lo psicoanalista Luigi Zoja, di una follia psichiatrica ma della presenza, in ciascuno di noi, della tentazione di sfuggire alla solitudine e all’insicurezza rifugiandosi sotto le bandiere del pensiero assoluto, insofferente del dubbio, della critica e della ricerca, pronto a promettere salvezza per tutti. Un meccanismo di difesa individuale che, in periodi di crisi, tende a dilagare in forme collettive.

Cosa c’entra tutto ciò, vi chiederete, con i dilemmi della signora Maria?
Ce lo spiega sorridendo Diego nella gag di Antonio che, non sapendo perché va ogni giorno a fare il bagno a Caprino, preferisce vendere il motoscafo piuttosto che interrogarsi sulle motivazione della sue azioni. Noi vi scorgiamo un tentativo di emergere dal gruppo, di farsi ammirare, di mostrare a se stesso e agli altri di essere il migliore. Ma lui non lo sa e non lo vuole sapere. Temendo di riconoscere i suoi desideri e di assumersi la responsabilità di realizzarli, preferisce tornare tra gli amici del bar, proprio quelli che voleva lasciare indietro. Anche la signora Maria ha paura della libertà che ha conquistato con un gesto di ribellione ma che ora le chiede di trovare senso e ragione. La libertà da, dice Fromm, deve trasformarsi in libertà di diventare se stessi.