Il buffet della stazione di Losanna

/ 21.01.2019
di Oliver Scharpf

La prima volta che mi sedetti, quasi due decenni fa, al buffet della stazione di Losanna, ebbi la netta impressione di trovarmi all’inizio di un racconto di Hemingway. Al di là di percepire, dal vero, quella stessa situazione già assaporata leggendola, sorseggiando un bianchino pensai di essere capitato in uno dei posti più belli della Svizzera. Imponenti dipinti paesaggistici, molto legno brunastro tutto intorno, soffitti altissimi a cassettoni, illuminazione onirica data da grappoli di lampioni, ghirlande di fumo partorito da Mary Long e Marocaine, cameriere volanti vecchio stampo, atmosfera tanto amata di eterogeneità sprigionata dagli avventori. Bevitori abituali contemplativi, viaggiatori lì solo quel giorno, la vecchia signora che ogni giorno legge il giornale con tisana di rosa canina accanto, studenti, disperati, milionari, psicotici, artigiani che passano per un galopin al volo.

Sfogliando I quarantanove racconti (1938) ritrovai l’incipit in questione. In realtà il primo personaggio è seduto al «caffè della stazione» di Montreux. Altri due entrano in scena nella seconda e terza parte dello strambo racconto, anche loro seduti a un tavolo di un caffè ferroviario vodese: a Vevey e a Territet. L’inizio di Omaggio alla Svizzera è ripetuto tre volte, variandolo con dettagli diversi, però c’è sempre in ballo una cameriera attraente e il legno del tavolo ogni volta «brillava, a furia di essere strofinato». Proprio come quei tavoli lucidi ai quali ogni tanto approdavo, sognando di studiarlo a fondo quel luogo nato nel 1916, per poi raccontarne, magari, qualcosa, un giorno. Una gelida giornata di gennaio, puntuale a mezzogiorno e sedici, il treno arriva al binario sei. Vado diretto al binario uno dove ricordo una delle due maestose entrate. L’altra era in place de la Gare. Chiuso a fine dicembre 2015 per un restauro, ha appena riaperto i battenti un mesetto fa come ristorante vegetariano della catena zurighese Tibits.

Cinquecento persone, nel gennaio 2016, erano fuori in coda per accaparrarsi qualche cimelio: la dice lunga sull’attaccamento dei losannesi al buffet della stazione di Losanna (448 m) dove la domenica per tanti era un rito venire a mangiare le moules sauce poulette e dove entro ora. Vista Cervino all’alba, mi siedo con la mia verbena. Questo grande dipinto tranquillante intitolato Zermatt, al centro della parete ovest, è opera di Albert Gos (1852-1942). Pittore ginevrino specialista di montagna, del Cervino soprattutto, tanto da venir chiamato «il pittore del Cervino». Accanto, verso i binari, è ritratto il jet d’eau di Ginevra per mano di Erich Hermès (1881-1971), più noto come cartellonista che per i suoi dipinti influenzati da Hodler. Friburgo dipinta da Oswald Pilloud completa questa parete. Mentre altri tre quadri, sempre in identico stile idillico-patriottico, troneggiano sulla parete est, sopra il bar e le casse. Sono le vedute di Berna, Neuchâtel e Montreux, a firma Max Brack, Louis Vonlanthen, Henri-Edouard Bercher. Tutte le pareti, sullo sfondo, sono verde pistacchio con decorazioni art nouveau. Sorseggio la verbena e decido di aspettare un po’, troppa gente è assiepata attorno al buffet, è l’ora di punta. Certo, come prevedibile, l’aria a metà strada tra brasserie francese con cameriere hemingwayane e sontuosa bettola romanda con i suoi personaggi-pilastri che sembravano inamovibili, è sparita. Eppure poteva andare peggio, diventando Mcdonald’s o Starbucks.

Il Tibits – nome tratto dall’inglese tidbit traducibile con bocconcino o leccornia – non è per niente male; spesso, in viaggio, vado in quello alla stazione di Lucerna. Il primo degli altri dieci ristoranti – tre a Zurigo, due a Londra, uno appunto a Lucerna, Basilea, Berna, Winterthur, San Gallo – nasce nel 2000: idea dei tre fratelli Frei ispirati dallo storico Hiltl. Il primo ristorante vegetariano al mondo che vede la luce nel 1898 a Zurigo. D’altronde è proprio la quarta generazione di Hiltl a partecipare, dall’inizio, a questo concetto servisol che oggi va a gonfie vele. Oppure, come i buffet distrutti di Bienne, Berna, Ginevra, per esempio, la sorte poteva riservargli di scomparire del tutto. E poi, alla fine, dei mutamenti ci vogliono. Mi lancio e senza tentennamenti compongo il mio piatto con pakchoi al vapore, kale, rucola, gratin di bietole, un paio di falafel accompagnati da una cucchiaiata di hummus, e poi cedo alla specialità locale. Un illusionistico papet vaudois affettato tradizionalmente su letto di porri e patate.

Il legno di quercia giapponese tirato a lucido rimane comunque elemento dominante che emana un certo calore. Notevole la parte cesellata su in alto, all’entrata, con melograni, uva, pigne. I nuovi lampadari, come il resto dell’arredamento di questo tempio salutista, non sono il massimo, ma non disturbano più di tanto e tutto sommato l’ambiente ultracentenario si è conservato alla grande. Se dunque Hemingway non ha ambientato nessun racconto qui, in occasione della sua visita a Losanna nel 1922 come reporter del «Toronto Star», appena arrivato o in partenza, qui a bere un goccio di sicuro non poteva non sedersi.