Il bello degli scout

/ 14.08.2023
di Carlo Silini

La cosa bella degli scout è che per forma mentis s’arrangiano con quello che c’è e prendono le cose come vengono, col piglio positivo e pragmatico che li rende candidamente impermeabili alle avversità. Come l’ottantina di ragazzi ticinesi che nei giorni scorsi ha vissuto lo sgombero dell’accampamento di Saemangeum, in Corea del Sud, dove dal 2 agosto era in corso il Jamboree, il più importante raduno mondiale di scout degli ultimi anni. L’evento, che ha raccolto oltre 43mila scout da 150 Paesi, è partito storto. E il campo, che doveva durare fino al 12 agosto, è stato sbaraccato quasi una settimana prima. Cos’è successo? Neanche il tempo di iniziare ed ecco i mancamenti, le febbri e altri malori da surriscaldamento corporeo e/o disidratazione. Almeno 800 persone hanno accusato malesseri per le elevatissime temperature (35-40 gradi) prima ancora che la kermesse prendesse il via.

Il contingente più numeroso, quello britannico, con oltre 4500 scout, ha deciso di abbandonare il sito dell’evento, seguito a ruota dai 1500 membri delle pattuglie statunitensi e dai ragazzi di Singapore.

L’accampamento si trovava su una pianura lagunare di 8 km² priva di alberi, quindi d’ombra naturale, a ridosso della costa marina da cui è separata da una sorta di diga, quindi senza uno spiffero d’aria: una conca riarsa se c’è il sole e melmosa se piove. Lì, le truppe del pianeta hanno montato uno sterminato villaggio di tende contigue dove di giorno era impossibile ripararsi dalla sferza del calore perché ci si soffocava. Ci sono stati gravi problemi anche coi servizi igienici. Ma intanto – da testimonianze dirette – sappiamo che, pur faticando, buona parte degli scout ballava, rideva e scopriva un nuovo mondo. I ragazzi hanno approfittato dell’occasione per tuffarsi entusiasticamente nell’incontro coi coetanei di altre culture, nelle attività e nelle avventure fuori programma. «Quando la strada non c’è, inventala!», diceva Baden Powell.

Il Governo di Seul ha inviato nel giro di poche ore personale medico, centinaia di bus con l’aria condizionata, installato ripari ombrosi irrorati da getti d’acqua vaporizzata, rifornimenti di ghiaccio e piscinette di plastica sparse qua e là. Ma quando la situazione sembrava gestibile è arrivata la plumbea minaccia di un ciclone e le autorità hanno fatto smantellare tende e picchetti e portare gli ospiti in strutture chiuse di varie località dell’entroterra, dove il Jamboree è continuato in modalità «diffusa» (anche con qualche spavento, come un incidente di bus che ha coinvolto alcuni assistenti degli scout svizzeri con ferite lievi).

Impossibile da 9mila km di distanza valutare responsabilità, imprevisti ed esatte circostanze. Troppo superficiale la scelta del sito, così esposto alle bizze climatiche? Troppo blande le misure di protezione in un evento «monstre» del genere? Troppo breve il periodo di acclimatazione di alcuni gruppi? Gli svizzeri sono arrivati una settimana prima e se la sono cavata, altri contingenti sono «piovuti» in Corea a poche ore dall’inizio. Gli scout del nostro Paese sono stati ineccepibili nella preparazione dell’appuntamento coreano e già l’estate scorsa avevano organizzato con elvetico rigore e riconosciuto successo un campo federale con oltre 30mila partecipanti nelle montagne della Valle di Goms. Chapeau.

Per Seul è stata una scoppola. Per i genitori dei ragazzi un patema a distanza. Per gli scout un’avventura straordinaria, spossante, allegra e folle come il mondo dei nostri giorni, ingovernabile e pazzo. E una lezione di vita vera, molto più convincente e brutale di qualsiasi insegnamento teorico sui limiti del nostro corpo e sui cambiamenti climatici e i loro potentissimi effetti.