Il Bad Allenmoos di Zurigo

/ 02.08.2021
di Oliver Scharpf

Tram numero undici, otto fermate dalla stazione centrale, dodici minuti di viaggio. E tra un attimo dovrei essere sul posto. Una piscina-parco nata nel 1939 la cui distanza, dalla fermata del tram omonima, corrisponde al tempo di marcia trovato nel testo Das Freibad Allenmoos Zürich di Alfred Roth pubblicato nel 1947 su «Das Werk» 34. «Due minuti a piedi dalla fermata del tram» scrive l’autore dell’articolo, tra l’altro anche architetto e designer. E mica l’ultimo arrivato: è lui, per esempio, a scegliere i colori per l’edificio di Le Corbusier al Weissenhof di Stoccarda, in collaborazione con Alvar Aalto disegna una banca a Beirut, firma varie scuole, un libro-chiave sulla nuova architettura scolastica, e il letto dove ho dormito al Bella Lui di Crans-Montana.

Ex sanatorio progettato – assieme alla moglie Flora Steiger-Crawford e Arnold Itten – proprio da uno dei tre architetti artefici di questo lido Neues Bauen. Il trio è composto infatti da Rudolf Steiger (1900-1982), Werner Max Moser (1896-1970), Max Ernst Haefeli (1901-1976). In realtà però è l’opera di un quartetto. Il ruolo dell’architetto-paesaggista Gustav Ammann (1885-1955), si intuisce già dall’entrata, è fondamentale. Vetrocemento e colonne a fungo si fondono da subito con le fronde variegate degli alberi.

Alle nove e ventiquattro di una mattina verso fine luglio, poco dopo la sua apertura, assaggio in tutta tranquillità, la sua visione di piantare una moltitudine di alberi provenienti da tutto il mondo. Come il delicato katsura che incontro ora. Tocco elegante da giardino ornamentale giapponese, il Cercidiphyllum japonicum è noto in tedesco anche come Kuchenbaum, albero delle torte. In autunno, le foglie cadute hanno, pare, per un paio di ore al giorno, un odore che ricorda le torte appena uscite dal forno.

Regna e ombreggia a meraviglia, a ridosso delle celate cabine in beton – per cambiarsi al volo – con le porte di legno azzurro provenzale, un maestoso faggio sanguigno. Protetto da vetrate lattescenti, un tavolo da pingpong mattiniero vive la sua vita solitaria in santa pace. Poco più in là, un’apertura improvvisa nel soffitto piano come uno squarcio a forma di dirigibile o balena, incornicia le chiome arboree. Gironzolo un po’, a piedi nudi, nell’erba umida, prima di trovare il luogo preciso dove accamparmi.

Non lontano dalla magnifica Quercus robur Fastigiata che domina la scena all’angolo sinistro della piscina. Il bacino, azzurro chiaro invitante, devia dalla convenzionale forma rettangolare. Due lati sono leggermente a zig zag, creando così, in lunghezza, una concavità accennata appena; e in larghezza, a malapena percettibile, una certa convessità. L’acqua è inaspettatamente fresca, senza odore di cloro. Nuotando si capisce meglio tutta l’armonia della struttura. Si assaporano, innanzitutto, fino in fondo, le aiuole selvatiche che corrono per cinquanta metri lungo i fianchi della piscina. Achillea tomentosa a go go, margherite, malva, e tanti altri fiori spontanei spuntano come citazione cittadina dei prati di campagna.

A rana, a poco poco, contemplo la vocazione di Amman per il giardinaggio selvaggio inglese. Laggiù, dalle parti della piscina per bambini a forma di apostrofo con tanto di scivolo, si scorge un filare di pioppi e l’effetto ripariano preindustriale è assicurato. «Il nuovo paesaggio balneare mette in scena artisticamente un mondo migliore che si credeva perso» scrive Johannes Stoffler nel saggio Modernism for the people: Swimming pool landscapes in Switzerland (2010), a proposito del Bad Allenmoos (441m) di Zurigo. Un eden ritrovato, quasi una critica sottile alla civilizzazione. La grande città sparisce come d’incanto.

Anche l’architettura, già discreta in partenza, ha il pregio di sparire del tutto tra gli alberi ricercati. Spicca solo, a fianco del faggio pendulo, sospeso e leggiadro come fata morgana, il bar-ristorante dalle linee transatlantiche. La terrazza in alto, in aria come un pontile, è sorretta dai pilotis fungini. Solo a nuoto si ammira al meglio la tavolozza ben studiata di decine di verdi diversi che compongono il paesaggio come pennellate postimpressioniste. A quest’ora, in questa piscina popolare di un romanticismo modernista, non c’è ancora molta gente, solo alcuni nuotatori abitudinari mattinali.

A bordo vasca, appoggio le dita su un orlo tutto costellato da favolosi sassolini. Rintronato dalla bellezza intorno di questo arboretum-piscina dove flora scelta e funzionalità dell’architettura moderna vanno a braccetto, dopo una ventina di vasche, zampetto fino al ristorante servisol per un pralinato fuori orario. Due vecchietti a un tavolino, con l’aria di quelli che vengono qui tutti i giorni per tutta l’estate, da anni, sorseggiano un caffè e fanno quattro chiacchiere. Butto un occhio, benché apra solo nel pomeriggio, al chiosco-rotonda in Landistil.

Eppure è l’angolo della grande quercia piramidale con la piscina azzurrina trasparente e scintillante ad attrarre di nuovo la mia attenzione, messa un po’ in crisi, da uno stato trasognato continuo. Lì, nell’aiuola, spunta onirica una statua di donna nuda in bronzo striato di verderame di non so chi. Non per niente, il titolo di un articolo di Andreas Nentwich a proposito di questo posto, apparso sull’ultimo numero di «Kunst + Architektur in der Schweiz», contiene il verbo «träumen». Mi svacco sul prato, maculato d’ombra e sole, e a occhi aperti sogno l’albero dei pralinati. Forse è meglio andare a fare un bagno.