È caduto in un sonno profondo quanto improvviso. Parlo di Vecchio Tifoso. Saranno stati quei minuti di pubblicità televisiva, ormai sempre uguali, all’ora di cena, e altre brevi scene del folclore svizzero, in attesa del secondo tempo della partita.
A essere sinceri non ricorda più nemmeno che incontro si giocasse, se una partita di campionato, oppure una gara di qualificazione ai prossimi mondiali.
Fatto sta che venne risvegliato in modo brusco dalla padrona di casa. Un tempo lei faceva il tifo per i granata bellinzonesi, pare con qualche grido di incoraggiamento. Poi la passionaccia si attenuò e ora, tutta presa dalla nipotina, lo sport non le dice più nulla: né le partite di campionato, né la nazionale di calcio, né l’hockey e neppure le Olimpiadi. Ma il suo occhio è attento e, forse per lo stato di salute di Vecchio Tifoso che provoca improvvisi quanto brevi ma intensi minuti di sonno anche a causa della qualità del gioco, la moglie cerca di tenerlo sveglio, o risvegliarlo almeno alla ripresa del gioco. Certo lei non può stare di guardia tutto il tempo! Si dà quel tanto che basta, insomma, senza tralasciare le molte faccende da sbrigare.
«Ma come? Ora non ti interessa più nemmeno la nazionale? Sveglia, sveglia!»
La nazionale! Vecchio Tifoso ha quasi un moto di rabbia, e se la prende per tanta disattenzione. Strano ma vero, in campo stanno muovendosi giocatori con maglie quasi identiche a quelle della compagine elvetica, ma con un colletto che le fa apparire un po’ più ricercate. Sul petto nessuno stemma con la croce svizzera. E in panchina, ad agitarsi col volto rabbuiato, neppure l’ombra del selezionatore della Svizzera, ossia Pektovic, bensì Andrea Manzo.
Eh sì, questo è il FC Lugano, con l’improbabile (e direi pure improponibile) maglia che avrebbe forse dovuto impaurire l’avversario, un Losanna che invece sta imperversando contro quelli che dovevano giocare con la maglia bianconera: 3-0 dopo il primo tempo!
Un po’ di nostalgia, non tanto per il risultato (il Lugano uscirà battuto per 4-1 dallo stadio olimpico della Pontaise), quanto per la maglietta. Non soltanto quella del Lugano; l’avversario ne indossa infatti una blu scura e sembra di assistere a una gara di calcetto. Del resto anche altre compagini una partita la giocano con i colori abbastanza simili a quelli originali e nell’incontro successivo si… camuffano adottandone altri. Così non ci si raccapezza più quando giocano due compagini d’Oltralpe.
Anche i giocatori, talvolta, hanno difficoltà a intendersi, ma per via della lingua. Qualche stagione, poi il problema si risolverà.
Del resto succedeva già in tempi lontanissimi, quando i romandi giocavano insieme agli svizzero-tedeschi e anche i ticinesi – più avvezzi a esprimersi in tedesco (o in francese), forse per esigenze… turistiche – non sempre se la cavavano.
Mi raccontò una volta l’amico giornalista Tiziano Colotti che, tornando in aereo da una trasferta fatta in Ungheria o da qualche altra parte, il chiassese Riva IV, detto Puci (22 partite in maglia rossocrociata), non pronunciava i nomi dei suoi compagni di squadra, semplicemente per non inciampare sulla lingua tedesca, lui maestro di dribbling e goleador rossoblù, con ben 156 reti per il Chiasso. Il club di confine due anni fa ha dedicato a Riva IV, uno dei più spettacolari attaccanti ticinesi di sempre, lo Stadio Comunale. Ecco cosa mi raccontò il Tiziano in merito a uno degli episodi più divertenti del Puci durante quel viaggio di ritorno a casa della Nazionale in aereo. Ricordò Colotti che per spiegare le difficoltà avute nell’intesa sul campo con un compagno di squadra di cui non sapeva il neppure il nome (!), il Puci, lo indicò con la mano. Colotti capì al volo: «È quello seduto due file davanti a noi?» gli chiese allora. «Sì, quel lì biund», rispose prontamente il Puci. E proseguì: «Al ma parlava, ma mi capiva nagott!».
Fa sorridere oggi pensare a quei tempi, quando la Svizzera inaugurò il Campo comunale di Cornaredo il 25 novembre 1951. Fu l’esordio di Riva IV in maglia rossocrociata contro l’Italia. Il chiassese aprì le marcature con un bel diagonale sfruttando un suggerimento del ginevrino Fatton, il capitano. Verso la fine del match si alzò una nebbiolina e a sei minuti dal termine il portiere bianconero Corrodi venne battuto dallo juventino Giampiero Boniperti. «Bubi» Corrodi si disperò, per la vittoria sfuggita di poco. Con Riva IV i compagni cercarono l’intesa, indicando che cosa intendevano fare, aiutandosi sempre con le mani. Ma il Puci era abituato a fare spesso di testa sua…
Erano anni in cui nelle squadre ticinesi – i rossoblù del Chiasso, i bianconeri del Lugano, i granata del Bellinzona e le bianche casacche del Locarno – si parlava (e gridava) soprattutto in dialetto. Ora ecco il Lugano a giocare ogni tanto con la maglia rossa e la mitica «V» sul petto. In campo si parlano numerose lingue, ma si corre a velocità quasi doppia di un tempo e qualche spettatore ticinese deve chiedere a un amico «Chi l’è quel lì?», indicando l’autore di uno scatto destinato a miglior sorte di quel tiraccio con cui chiude peraltro una bella azione. «Boh, al su mia. Nessuna idea», gli risponde il Vecchio Tifoso luganese.