Ho fatto un bilancio della mia vita e ho visto che nel 62% dei casi in cui ho dovuto decidere, ho sbagliato; nel senso che se avessi fatto l’opposto sarebbe stato meglio. Ho indagato presso amici sinceri e ho visto che anche loro oscillavano tra il 55% e il 70% di pentimenti, con punte che raggiungevano l’85%. Cioè molto più probabile che uno si sbagli, soprattutto se crede di decidere razionalmente; più si valuta e si pondera, più alla fine si sbaglia.
E allora ho deciso di tirare i dadi, porto sempre con me un paio di dadi, se viene pari è sì, dispari no. Bisogna formulare le domande in modo che la risposta sia sì o no.
Parto per la Lapponia? Ho tirato i dadi, sì, allora sono partito, ed era più probabile fosse una decisione assennata che se mi fossi messo a ponderare i pro e i contro. Beh, così ho fatto dieci anni fa, e sono partito. E mi sono trovato a Gëllivare nella notte boreale. C’ero arrivato in treno da Stoccolma. Sapevo che la decisione dei dadi era più razionale di quella che avrei preso io. Il viaggio è durato parecchio, la notte si alternava alla notte, attorno l’infinita distesa di neve. Era naturale chiedersi: cosa sono venuto qui a fare? Mi rispondevo: è il suggerimento dei dadi. D’altronde fossi rimasto a casa mi sarei chiesto: cosa sto qui a fare?
Il treno viaggiava a moderata velocità, lo scompartimento ben riscaldato. Fuori 35 gradi sotto zero e ogni tanto folate di neve contro il finestrino. A una stazione intermedia mi ero perso d’animo. Torno indietro? E ho tirato i dadi. No. Questa perseveranza dei dadi mi ha tranquillizzato. Almeno loro sapevano il senso di quell’avventura. Più andavo avanti più il barlume del sole sotto l’orizzonte calava. Non avevo bagagli perché avevo chiesto ai dadi: devo portarmi bagagli? La risposta è stata no, niente bagagli. Va bene. Nessuno sul treno con cui parlare. Solo la capotreno, una signorina dalle gote rosse, che al passaggio del Circolo Polare mi ha offerto a nome delle ferrovie una piccola confezione di cioccolatini. È l’usanza.
«Grazie, danke», ho detto. «Italiener?» mi ha chiesto. Sì. Ed è nata una difficoltosa conversazione mescolando tre o quattro lingue, il cui succo è stato questo. «Come mai qui?» «Non lo so». E la conversazione si è impantanata. «Aurora boreale?, ha chiesto, fotografare l’aurora?» Per non deluderla ho detto sì. Ma non vedendo la macchina fotografica si è accigliata. Allora ho detto: me l’hanno rubata. E i bagagli? Anche i bagagli. Fatta denuncia? No. Per farla breve di lì a due giorni eravamo fidanzati. Lassù nel nord gli accoppiamenti si decidono valutando obiettivamente la situazione e la convenienza. Poi la passione verrà se deve venire. Io avevo tirato i dadi: mi fidanzo? Sì. E mi sono sistemato dalla capotreno, a Gëllivare, cioè nei pressi, circa a quaranta chilometri, vicino a una cascata d’acqua ghiacciata, come tutto il resto.
La capotreno si assenta la maggior parte della settimana, io intanto pulisco la casa, faccio il bucato se occorre, la spesa; passano a volte enormi alci, l’estate è breve, cioè più che di estate si tratta di un solo giorno ininterrotto, poi torna notte, sono dieci anni che vivo qui. Non ho il coraggio d’interrogare i dadi; ossia ho chiesto anni fa ai dadi se dovevo interrogarli e mi hanno risposto di no. Quindi non li ho interrogati se restare o ripartire. Significa che devo decidere io? Perché la capotreno tre mesi fa se n’è andata come al solito al lavoro e non è più tornata.
In Lapponia non si sta male, ma ho finito da un pezzo i soldi per fare la spesa. Avevo pensato di mangiare un alce, ma sono animali enormi che mettono in soggezione, con quel labbro pendulo che sembra chiedere pace. Poi la caccia è vietata. Però mi sono deciso, tanto ero affamato; ho interrogato i dadi: devo uccidere un alce? Sì, sorprendentemente hanno detto di sì, dall’alto della loro saggezza. Ho tentato, da stupido, con un coltello inadeguato che si è piegato contro la pelle dura; gli alci sono sorvegliati, non so con che sistema; sono stato subito arrestato, cioè messo ai domiciliari, e domani mi rispediscono a casa con foglio di via, in quanto indesiderato. Il viaggio è a carico del governo svedese. Grazie, ho detto, danke. Cioè grazie ai dadi. Se fossi partito di mia volontà nel solito modo irruente, non avrei saputo come fare a viaggiare senza un euro.
La vita si avvia a volte su strade che non si spiegano con il buonsenso. Chi l’avrebbe detto che una parte della vita adulta l’avrei dovuta passare in Lapponia? I dadi invece sanno meglio di noi miseri umani il destino a cui è votato ciascuno. Bisogna sottomettersi ai dadi, ve li consiglio, per non sbagliare coi soliti ragionamenti avventati.
I vantaggi del caso
/ 29.06.2020
di Ermanno Cavazzoni
di Ermanno Cavazzoni