Il primo che appare, tra gli alberi, se arrivate pigramente con il bus specifico per fare il bagno (Bäderbus) che parte, in estate, dalla stazione, ogni mezz’ora, è il Chrüzweier (776 m). Lo stagno della Croce, noto anche meglio come Frauenweier, lo stagno delle Donne dove colpisce, in un angolo, la straordinaria struttura balneare heimatstil, tutta in legno, risalente al 1897. Costruita secondo i piani dell’architetto Albert Pfeiffer (1851-1908) con un pennacchio-campanile che spunta dal tetto spiovente, è ancora riservata alle donne. Tranne in inverno, dove da qualche anno, c’è una sauna accessibile anche agli uomini.
Cammino nel bosco ed ecco che a un certo punto fanno capolino gli altri due stagni artificiali, creati qui in collina nel seicento per i pompieri e i candeggiatori del lino. Nel Buebenweier (775 m), lo stagno dei Bambini, non nuota nessuno, l’acqua sembra molto stagnante, tante ninfee. Un ripostiglio similchiesetta finlandese, verniciato di bianco, su una piattaforma, si affaccia placido sullo stagno e s’impone alla vista come un quadretto mistico amatoriale. Lì, un vecchietto, le gambe penzoloni sull’acqua, legge un libro. Mentre dalla parte che dà solo sull’acqua, uno tipo giocoliere ambulante, fa ginnastica. Sulla facciata in alto, c’è scritta, a pennello, in caratteri gotici, una poesia in rima baciata che inizia con Le nuvole ci danno la pioggia. Uno stemma dipinto accanto, mostra un gallo con una spada sopra un elmo. Pennellato a dovere, c’è anche l’anno dello stagno: 1677.
Un’altra casetta balneare in legno, verniciata di un bel verdino pistacchio chiaro, con certe travi in azzurro, attira il mio sguardo. È la Milchhüsli: chioschetto storico rinomato per le sue torte, in particolarmodo per la torta alla cannella. Situata tra il Buebenweier – in realtà lo stagno di Nessuno, una via di fuga ideale per riposare lo sguardo irrequieto – e il Mannenweier (770 m) dove ci sono già diversi natanti tranquilli, non resisto a buttarci un occhio a questa Casetta del latte e le sue torte. Quella al rabarbaro e quella al ribes guardano fuori bene, italianizzando un’espressione dialettale ticinese abbastanza esatta, ma cedo alla fama della torta alla cannella. E così, mi ritrovo, senza neanche ancora fatto qualche bracciata né camminato poi troppo, a divorare, sorseggiando un espresso seduto sull’erba sotto un maestoso tiglio, tra due dei tre stagni di San Gallo, una tarda mattina di un sabato verso fine agosto, la torta alla cannella. Quissotto, il guardaroba del 1906 che riprende i colori del chioschetto in stile case a traliccio, incorona lo stagno degli Uomini. Un bel pontile con un trampolino per i tuffi, si delinea più in là. La struttura balneare azzurrina stile chalet, sulla riva in mezzo allo stagno, con balconi intagliati e altre decorazioni lignee ottenute con l’arte del ritaglio, è la mia meta. Le vecchie cabine per cambiarsi sono così graziose che uno nei giorni di pioggia potrebbe quasi rifugiarsi qui a leggere. Alcune massime, sempre pennellate in caratteri gotici, non sono altrettanto memorabili. Il motivo dei balconi che non si indovina subitissimo, mi lascia invece a bocca aperta: è un giunco di palude alternato a un iris palustre. L’iconica spiga cilindrica a forma di salsiccia della Typha latifolia è ritagliata alla perfezione, mimetizzandosi a un primo sguardo frettoloso. Non per niente l’arte del ricamo, qui, è di casa da secoli: penso al pizzo di San Gallo. Di pregio, alzando lo sguardo sul frontone, disegnate sempre attraverso il ritaglio, altre forme emergono, simmetriche, tra il legno bianco e il buio: aironi in posa tra i canneti, ranocchie nuotanti. Scettico sulla qualità dell’acqua, viziato dai pozzoni trasparenti in Lavizzara, non ero motivatissimo a entrare, ma dopo poche bracciate a rana, la situazione si ribalta e sfocia quasi – forse anche grazie al preludio-torta alla cannella – in un’appartenenza al luogo. Incontro vecchiette commoventi che nuotano piano e serene, gli orti condivisi, sulla riva opposta, riescono ancora una volta, d’un tratto, a trovarmi d’accordo su questa attività benefica per lo spirito e il paesaggio.
Un’altra collina, metà bosco metà prato, con alcune fattorie, si staglia laggiù sopra la città. Nuoto fino al guardaroba a traliccio e noto come altre volte, però poi si dimentica a furia di stanzialità, che nuotando, come correndo o camminando sul serio, si vive in pieno il paesaggio; vale a dire si gusta, di nuovo, davvero, il mondo. Doccia fredda veloce dopo la nuotata pluviale e via, ancora sotto il tiglio secolare che domina lo stagno. È l’ora della niçoise: l’insalata nizzarda (uova sode, fagiolini, pomodorini, tonno, basilico, olive taggiasche) che estraggo dal mio zaino. «Piccobello!» esclama uno alla moglie che gli porge la birretta fresca. Ovvio, naturale, spontaneo, quasi necessario ed essenziale, il bis torta alla cannella al chioschetto-baita adesso preso d’assalto non solo per le torte, ma anche per le patatine fritte e dolciumi vari che mi ricordano le scuole medie. La ricetta della torta alla cannella, bella umida e profumata, con un’idea di marmellata ai lamponi sul fondo, è antica quanto gli stagni e proviene dal Toggenburgo. Ritorno all’ombra magistrale del tiglio, riassaporando, senza sensi di colpa né pentimento alcuno, la torta alla cannella numero due. Con in più, quel sapore malinconico, addolcitosi con l’andar degli anni, di quasi fine estate.