Qualche tempo fa sul «Washington Post», testata che tra qualche settimana per la prima volta in 144 anni di storia sarà guidata da una donna, Sally Buzbee dell’«Associated Press», c’era un annuncio interessante. Il giornale era alla ricerca di un/una giornalista esperto/a di intelligenza artificiale e algoritmi. Nello specifico la descrizione del profilo indicava un giornalista in grado di esplorare le modalità di utilizzo dell’IA e degli algoritmi da parte dei giganti tecnologici per influenzare ciò che compriamo, leggiamo, guardiamo e molto altro ancora. «Alphabet, la società madre di Google, è un colosso in questo ambito, e questa posizione richiede una copertura penetrante delle sue vaste divisioni. Il giornalista in questione deve esaminare le azioni dei leader della società. Oltre a Google, deve monitorare come gli altri grandi attori della Silicon Valley sviluppano e impiegano l’IA e gli algoritmi. La concorrenza, la raccolta dei dati, la privacy, la disinformazione e altre questioni nel mondo digitale sono aree di copertura centrali. I candidati ideali raccontano le loro storie attraverso parole, video e dati».
Un annuncio perfetto per riprendere il filo da dove ci siamo lasciati la volta scorsa e cioè l’utilizzo e l’influsso dell’IA nelle redazioni. Tornando a Charlie Beckett, direttore di Polis, think thank della London School of Economics, e al suo studio New powers, new responsibilities. A global survey of journalism and artificial intelligence ciò che emerge è come l’intelligenza artificiale sia già parte del giornalismo ma sia distribuita in modo irregolare, non uniforme. In primis per una questione di costi, le redazioni medio piccole non possono permettersi di investire in questo tipo di tecnologia, possono farlo i grandi gruppi. Lo studio coinvolge 71 testate di 32 paesi, per la Svizzera sono la «Neue Zürcher Zeitung» e Tamedia, e sottolinea come l’intelligenza artificiale conferisca ai giornalisti maggiore potere e al tempo stesso li confronti con importanti responsabilità editoriali ed etiche. I robot insomma non ruberanno il lavoro ai giornalisti ma renderanno il giornalismo migliore.
Per Charlie Beckett la ricerca è una presa diretta delle redazioni sparse nel mondo, ci racconta cosa fanno, qual è lo stato dell’arte in questo campo, quali sono le aspettative per l’utilizzo dell’IA. Quelle più all’avanguardia sono «Associated Press», «Wall Street Journal» e «Bloomberg». Per Lisa Gibbs («Associated Press»), gli algoritmi aiutano a trovare le news più velocemente. Per Chris Collins («Bloomberg») delle azioni automatiche che ogni giorno giornalisti e giornaliste compiono nel raccogliere e produrre notizie, in futuro se ne occuperà l’IA. Korey Lee («South China Morning Post») è convinto che l’IA conferisca più potere ai giornalisti dando loro la possibilità di occuparsi di ciò che fanno meglio: interviste, ricerche, approfondimenti, produzione di contenuti creativi e avvincenti. Tra le sfide resta l’aspetto etico. A fornire l’infrastruttura utilizzata dalle aziende d’informazione sono i giganti tecnologici come Google, Amazon, Apple, Facebook e Microsoft, sono loro a creare i prodotti. Non solo, alcune di queste aziende finanziano il giornalismo e sostengono le redazioni. Ecco perché all’interno della propria squadra servono profili in grado di programmare e tecnologicamente competenti, tanto da non lasciare tutto nelle mani di sviluppatori ed esperti.
In questo contesto, stando ai risultati dello studio, le redazioni sentono la necessità di un dialogo più onesto e trasparente su etica e linee guida editoriali e chiedono un confronto con le aziende tecnologiche sulla riduzione delle possibilità di bias nei dati che si raccolgono e producono. Dunque prima che i robot spopolino nelle redazioni è bene essere sul pezzo. Intanto ve ne presento alcuni: a «USA Today» c’è Wibbitz, un software che crea brevi video in automatico: condensa le notizie in un breve script, lo unisce a una selezione di immagini o video e aggiunge la voce sintetizzata del giornalista. Alla Reuters c’è News Tracer, uno strumento di previsione algoritmica che aiuta i giornalisti a valutare l’integrità di un tweet, scoprendo chi lo twitta e ritwitta, come si diffonde in Rete e qual è il feedback degli utenti. Loro sembrano avere già capito che investire nell’IA rende il lavoro dei giornalisti più efficiente, distribuisce meglio i contenuti più rilevanti per i lettori, rende più remunerativo il modello di business.