I mulini a vento e il nostro ritmo interiore

/ 05.03.2018
di Natascha Fioretti

Se c’è un’immagine nitida, che ho portato via con me tornando da Amsterdam, è quella dei mulini a vento di Zaanse Schans, un villaggio di 40 case a 20 km dal capoluogo olandese, sulla banchina del fiume Zaan dove il tempo sembra essersi fermato. Qui, in quella che un tempo era considerata l’area industriale, nel 18. secolo si contavano 900 mulini a vento. Alcuni risalivano addirittura al 1321 e venivano usati per muovere l’acqua, macinare la farina, lavorare le spezie, la mostarda, il cacao e i colori tessili. Diminuirono drasticamente nel Novecento quando furono sostituiti dai motori a vapore.

Per fortuna, nel 1925, l’associazione Vereniging De Zaansche Molen decise di conservare quelli rimasti altrimenti delle magiche torri con le pale oggi non vi sarebbe più traccia. Camminando tra questi giganti animati dal vento che sembrano sorridere, lo sguardo corre a perdifiato sui prati e sull’acqua, senza riuscire a distinguere il confine tra loro, gli uni si perdono negli altri. Ed entrando nei mulini, in quello della mostarda ad esempio, o in quello della segheria, subito appare chiara una cosa: qui, sfruttando l’energia naturale del vento, l’uomo lavorava in un rapporto sinergico in armonia con i tempi e gli umori della natura. Sentire gli odori, rintanarsi nel loro guscio di legno mentre fuori soffia il vento fa riemergere sapori, atmosfere e ritmi di un tempo mai conosciuto eppure così familiare. 

A parte le strutture, di tutta questa proverbiale lentezza nella società di oggi non vi è più traccia e se, per sbaglio, qualcosa vi è rimasto non avrà vita lunga schiacciato dall’imperativo dell’accelerazione e dell’innovazione. Mi è venuto in mente quel passaggio del saggio di Fabio Merlini e Silvano Tagliabue Catastrofi dell’immediatezza dove si chiamano in causa D’Annunzio, la poesia e lo stretto legame con il corpo umano per «cui leggere veramente una poesia è leggerla con tutto il corpo» affinché vi sia sintonia tra ritmo interiore e ritmo esterno. Peccato, che nel XXI secolo, questa attenzione per la sintonia tra ritmo interiore e ritmo esterno l’abbiamo data in pasto alle ortiche nel tentativo di rincorrere un’armonia distopica tra il nostro ritmo organico e quello meccanico divorati da un consumo compulsivo e sempre meno capaci di assorbire l’innovazione. Quell’innovazione che paradossalmente è anche un backlash, una regressione nello sviluppo perché spesso incompatibile con le idee di giustizia sociale e di sostenibilità ambientale. Ma i nostri imperativi ormai sono accelerazione e innovazione, costi quel che costi. E qui mi viene in mente un altro saggio, parte del volume appena uscito per UTET La cultura ci rende umani, nel quale Paola Mastrocola traccia l’identità della scuola del prossimo futuro: sarà digitale, iperconnessa e, soprattutto, sarà la scuola delle competenze, del know how e del problem solving. Non conterà il sapere in sé ma il fare, non conterà l’apprendere lento e individuale ma il saper applicare rapidamente per un fine preciso, non avrà più importanza passare un sapere ma certificare delle abilità.

In fondo è così che ci muoviamo oggi schizzati e sollecitati da mille impulsi e distrazioni tecnologiche concentrati a raggiungere obiettivi e a risolvere problemi nel breve termine. Eppure non dimentico la densa bellezza degli studi universitari scandita proprio dalla lentezza, lentezza come humus per lasciare sedimentare e interiorizzare saperi ed esperienze. E mi tornano in mente le pale dei mulini a vento che girano e girano spinte dal vento mentre all’interno l’energia armoniosamente tutto muove e trasforma senza trucco e senza inganno. Dovremmo anche noi essere dei mulini a vento più inclini a seguire ritmi, cicli e impulsi della natura e allora sì ritroveremmo quell’armonia tra il nostro ritmo interiore e il tempo esterno. E, se invece, ci ostineremo a voler far coincidere il nostro ritmo organico con quello meccanico e con l’accelerazione dei tempi digitali, alla fine, temo, altro non saremo che dei mulini senza pale e senza spirito.