I miti non muoiono mai

/ 31.07.2023
di Orazio Martinetti

Prof, a che serve la storia? I docenti di questa materia sanno che a ogni inizio di anno scolastico la domanda arriva puntuale. Se l’aspettano, sono consapevoli che un buon numero di allievi nutre dubbi sull’utilità per la vita e per il lavoro di questo insegnamento. Convincerli della sua necessità non è facile. Intellettuali illustri hanno cercato di spiegarlo con argomenti più o meno persuasivi, chi rifacendosi a Cicerone, chi a Marc Bloch. Ma forse non è necessario salire sulle spalle di questi giganti per guadagnare alla causa i perplessi e gli apatici, basta prendere spunto dall’attualità e dalle polemiche giornalistiche che ne derivano.

I discorsi, anzi le allocuzioni che tradizionalmente accompagnano la festa del primo agosto, offrono sempre spunti stimolanti, anche quando ripropongono pedissequamente le quattro nozioni apprese dai manuali. Prendiamo la neutralità, uno dei pilastri dell’elvetismo, concetto ritornato al centro della scena dopo che per anni era rimasto confinato nel sottoscala della cultura politica. Ripercorrerne le vicende alle soglie dell’Età moderna vuol dire immergersi negli affari esteri del Paese per poi valutarne l’impatto sulla costruzione della Svizzera dopo il tramonto dell’Antico regime, nel quadro del riassetto imposto dal Congresso di Vienna all’indomani del 1815.

Ma numerose sono anche le ricadute interne, sui rapporti intercantonali all’epoca dei conflitti tra cattolici e riformati, per impedire che controversie intestine giudicate in un primo momento contingenti e circoscritte coinvolgessero l’intero «Corpus helveticum» portandolo alla rovina. Più in generale seguire l’evoluzione della neutralità significa ripercorrerne il cammino nel tempo, le giustificazioni ideologiche, la valenza simbolica all’interno dell’impianto patriottico, le implicazioni morali (per il singolo cittadino) ed etiche (per le istituzioni).

La cronaca offre sempre spunti per riprendere in mano i fili del passato. Prendiamo la discussione, mai morta, sulle origini della Confederazione. Ancora oggi una buona parte dell’opinione pubblica non nutre alcun dubbio su chi e come abbia formato il nucleo territoriale primigenio, poi cresciuto da un secolo all’altro attraverso un processo integrativo fatto in incorporazioni e alleanze. Tell, la rivolta contro il balivo, il patto del Grütli, la distruzione delle roccaforti compongono una tetralogia epica che sembra inestirpabile, e questo in barba alle smentite prodotte dalla ricerca scientifica (paleografica e archeologica). Anzi, chi osa sollevare dubbi su questa mitografia – indimostrata ma radicata nella coscienza popolare – rischia l’accusa di anti-patriottismo, com’è accaduto agli autori di una recente monografia sulla nascita della Confederazione, il medievista Werner Meyer e l’ex archivista di Obvaldo Angelo Garovi. Costoro, mettendo a frutto decenni di scavi e di studi sul materiale pergamenaceo, hanno nuovamente smontato il castello di leggende eretto dal basso Medioevo in poi.

Tuttavia nella loro opera i due autori non si accontentano di svelare «la verità dietro il mito» (Die Wahrheit hinter dem Mythos, questo il titolo del volume pubblicato dalla casa editrice tedesca Nünnerich-Asmus), ma allargano l’esplorazione al contesto politico, economico e sociale di quegli anni burrascosi, evidenziando aspetti come le regole che disciplinavano lo sfruttamento di boschi e pascoli, l’allevamento, l’alimentazione, il sistema dei trasporti, i rapporti con l’Impero. Filo conduttore è la distinzione tra fatto e mito, l’accertato e l’inventato. Ciò non significa che la mitologia non abbia anch’essa una sua storia e una sua rilevanza, soprattutto politico-ideologica.

La figura di Tell è stata requisita sia dalla destra (come nemico dei «giudici stranieri», ieri asburgici oggi europei), sia dalla sinistra (un Robin Hood alpino, paladino degli oppressi vessati da un potere illegittimo). Come ha sottolineato un altro celebre storico nelle sue ricerche sull’immaginario medievale, Jacques Le Goff, i «secoli bui» generarono una gran mole di racconti fantastici, di saghe, di avventure mirabolanti tra castelli, tornei e foreste. Eroi e gesta che sull’onda della tradizione orale si diffusero in tutto il Continente, alimentando riprese, variazioni e riformulazioni poi raccolte dagli scribi nelle loro cronache (e infine, più tardi, dagli autori di testi scolastici).