Nei giardini della Reggia di Caserta uno splendido gruppo scultoreo è dedicato alla vicenda di Diana e Atteone, narrata da Ovidio nelle sue Metamorfosi.
Il cacciatore, di nobile stirpe, ebbe la sventura di imbattersi in una piccola grotta in cui la bellissima Diana, quando era stanca di cacciare, era solita «spandere puri fiotti sulle sue membra di vergine». Atteone non conosceva quel sacro recesso, ce lo portò il destino. Ma la scoprì nuda e per non vedere mai rivelato questo inconsapevole oltraggio, Diana trasformò le sue sembianze: «inondò la faccia dell’uomo, diede al capo spruzzato corna di cervo longevo, allungò il collo, appuntì in cima le orecchie, cambiò le mani in piedi, le braccia in lunghe zampe e ammantò il corpo in un pelame chiazzato. E aggiunse la timidezza».
Le Metamorfosi di Ovidio, scritte tra il 2 e l’8 d.C., raccontano l’invincibile forza della vita nelle sue infinite trasformazioni, anche nelle forme più tragiche e inquietanti. Con l’intensità espressiva dei miti, questo grandioso poema ci offre uno straordinario messaggio filosofico, un attualissimo invito alla riflessione: che siano umane, animali o vegetali, non esistono chiari confini tra le varie forme di vita. Forse è proprio per la potenza di questo messaggio che ogni volta che mi accolgono i colori del Parco e le luci della Foce, mi torna alla mente la vicenda di Atteone e dei suoi amatissimi cani, descritti da Ovidio con amorevole attenzione nei più intimi dettagli delle loro qualità «umane», proprio come fossero persone.
Quando mi trovo in questi luoghi mi viene sempre da pensare all’intelligenza dei miti nel raccontarci gli infiniti intrecci della vita. Perché qui la vita mi accoglie con tanti fili colorati e luminosi, sospesi nell’aria, o fluttuanti sull’erba, o ancora, abbandonati per un attimo in riva al fiume. Sono fili simbolici i guinzagli che arredano l’orizzonte di uomini donne e cani; sono fili simbolici che trascendono la loro fisicità e sembrano volerci suggerire il farsi e il disfarsi di sempre nuovi legami possibili.
Chi sceglie il cammino su cui correre o il luogo in cui sostare? La domanda appare di per sé sbagliata, perché in questi panorami protagonista è solo la vita nel suo agitarsi. Una vita che danza i suoi attimi e inventa coreografie in un giocoso reciproco riconoscimento: una specie di intreccio identitario tra gli animali e i loro «padroni» (termine davvero infelice, infelice tributo all’immaginario economico).
Nell’armonioso continuum della vita che ci accoglie in questi luoghi ciò che conta è solo il reciproco riconoscimento che, proprio come il riconoscersi allo specchio della propria umanità, mette in scena il gioco di una condivisione. Un gioco autentico proprio perché nutrito dal sentimento di libertà, bellezza e gratuità del gesto in cui si esprime la nostra comune appartenenza alla natura.
Quanto sia fondamentale questo reciproco riconoscimento e quanto invece sia disastrosa la sua mancanza, o il suo fallimento, ce lo indica ancora Ovidio con il tragico epilogo della metamorfosi di Atteone. Trasformato in cervo da Diana, i suoi amatissimi cani non lo riconoscono più. Il nobile cacciatore guarda stupito nell’acqua e versa lacrime su un volto che non è il suo. «Tutta questa muta affamata di preda lo insegue per rupi e dirupi e rocce inaccessibili, per dove la via è difficile, per dove una via non c’è. E vorrebbe gridare: sono io, Atteone, non mi riconoscete? Vorrebbe ma gli manca la parola. E il cielo rintrona di latrati». Questo inquietante epilogo esprime la più grande tragedia possibile in cui, a differenza di ciò che accade in moltissime altre metamorfosi, la vita alla fine soccombe. Narciso, ad esempio, muore consumato dal dolore, ma si trasforma in un bellissimo fiore.
Qui Ovidio, con un messaggio capovolto, viene invece ad annunciarci il rischio di sempre possibili derive. E dopo averci guidato nell’assaporare le amorevoli armonie del Parco e del Fiume, ci trascina fuori da questo incanto. I possibili disastri di un mancato reciproco riconoscimento, o di un riconoscimento fallito, ci attendono in altri luoghi e in altre situazioni del nostro vivere e convivere. Luoghi e situazioni certo molto diversi, ma purtroppo anch’essi assai frequentati e familiari. Luoghi in cui l’ordine della natura rischia di essere frantumato, in cui si crea disarmonia e sofferenza e alla fine ribellione.
Rivestitici del nostro antropocentrismo possiamo fare un giro allo zoo ad ammirare tigri annoiate o elefanti in attesa di esibirsi; o possiamo volgere lo sguardo soddisfatto sulle infinite risorse che continuiamo a pretendere dalla natura.