I Måneskin al Colle

/ 07.02.2022
di Paolo Di Stefano

Usciti sfibrati dalle elezioni presidenziali (3+ complessivo) per precipitare nella settimana del Festival di Sanremo (2+ la media delle cinque serate) e riemergerne inesorabilmente ammaccati, non è inopportuno chiedersi: che cosa abbiamo fatto di male per meritarci tanto strazio in questo inizio di 2022? Orietta Berti vestita da Pokemon… Achille Lauro a torso nudo tatuatissimo e scalzo (mamma mia, che scandalo!)… Come se non bastassero la pandemia infinita e la minaccia bellica in Ucraina, e come se non bastasse l’iperattivismo di Salvini, abbiamo scoperto con angoscia di essere circondati dai contiani (i seguaci di Giuseppe Conte), dai dimaiani (i seguaci di Di Maio), dai fichiani (che si allineano con il presidente della Camera), dai dibattistiani (i più estremisti dei grillini), dai giorgettiani (gli adepti del ministro Giorgetti), dai franceschiniani (gli amici del ministro della Cultura), dai renziani (quelli vicini a Renzi), dagli ex renziani (quelli che lo erano) e dagli ex bersaniani (quelli che pendevano dalle labbra del vecchio segretario democratico).

Per non parlare dei berlusconiani e dei draghiani: pare peraltro che circolino ancora sparute schiere di sopravvissuti prodiani e dalemiani. E per ogni aggettivo c’è un aggettivo opposto e speculare, basta aggiungere un prefisso: gli anticontiani, gli antidimaiani, gli antigiorgettiani, gli antifranceschiniani, gli antidraghiani e ovviamente gli antiberlusconiani… Vanno aggiunti i presidenzialisti e gli antipresidenzialisti, i semipresidenzialisti, gli antisemipresidenzialisti e magari i semiantipresidenzialisti…

Da perdere la testa, la semitesta e l’antisemitesta. Tuttavia, il legittimo sospetto è che ciascuna particella di questo pulviscolo atmosferico possa vantare mediamente non più di tre-quattro aderenti (il titolare e un paio di compagni di lotta) anche se molto agitati e chiassosi, e soprattutto molto intervistati dai giornali e dai telegiornali impazienti di annunciare per primi le microscissioni epocali (i sette contiani da una parte e i quattro dimaiani dall’altra: lo scoop rimarrà inciso nei libri di storia!).

In compenso, l’«alto profilo» del futuro presidente era il primo requisito fortemente auspicato dall’intero arco parlamentare. Strano che, in tutto il dibattere e il polemizzare, nessuno abbia dichiarato: «Il nuovo presidente dovrebbe essere una personalità di basso o bassissimo profilo». Sconcertante che, contro ogni evidenza, persino i fedelissimi berlusconiani abbiano rivendicato l’alto profilo (con i tacchi?) del loro candidato. Naturalmente sul concetto di «alto profilo» non tutti concordavano. Nessuna meraviglia se Salvini, nella frenetica e angosciosa ricerca di un alto profilo, avesse proposto per il Colle, tra i tanti nomi scelti un po’ a caso, i Måneskin (4+).

Qualora l’autorevole costituzionalista Sabino Cassese (6–, candidato il giorno prima dallo stesso Salvini) gli avesse mai fatto notare che la carta costituzionale non prevede un presidente collettivo (i Måneskin sono quattro), il leader della Lega avrebbe prontamente obiettato che comunque avrebbero potuto alternarsi di trimestre in trimestre. Aggiungendo che, anzi, la nomina di una donna, la bassista di alto profilo Victoria De Angelis, avrebbe rappresentato una dirompente novità in quanto, appunto, donna. Fantasie? Fino a un certo punto. Del resto, quei burloni avevano inserito nell’urna tanti nomi divertenti e fantasiosi rigorosamente di altissimo profilo: gli attori Lino Banfi, Sophia Loren e Rocco Siffredi, gli eroi nazionali Trapattoni e Zoff (qualcuno si è ricordato anche di Falcao), Vasco Rossi e Guccini, nonché due vette dell’intellighenzia televisiva, ovvero Barbara d’Urso e Bruno Vespa.

«Bisogna recuperare un certo standing», ha ammesso qualcuno nel pandemonio delle innumerevoli maratone (a parte l’inutile anglicismo, 6– per l’utile auspicio). Incredibilmente, l’elezione di Mattarella (6+ alla sua ammirevole dedizione) ha prodotto, oltre al recupero dello standing, anche una standing ovation di qualche minuto al presidente eletto. Un po’ meno lunga di quella che avrebbe poi salutato i Måneskin al teatro Ariston di Sanremo, ma sfibrati come siamo conviene accontentarsi.