Fra le poche allocuzioni di quel latino che ha tenuto banco globale fino a pochi decenni fa che ancora circola urbi et orbi specie in questi tempi di rinnovato interesse per le questioni gastronomiche, vi è quella che sancisce un democratico – per non dire populista – consenso attorno al fatto che i gusti alimentari siano questione prettamente soggettiva. Questo impone ai ristoratori di attrezzarsi con un menù appetibile a tutti i palati. Ma implica anche – d’altro canto e ben più minacciosamente – giudizi e prese di posizione pesantissime riguardo ai gusti dell’Altro. Attorno alle abitudini alimentari si affollano prese di posizione, pregiudizi, anatemi e proscrizioni predicate sulla base di fatti (o meglio ricette) veri o presunti – tutte comunque volte a screditare, condannare ed additare l’Altro in quanto praticante diete men che umane. Chi scrive ricorda ancora come, da bambino cresciuto in una pianura padana dove Peppone e Don Camillo uscivano sovente dallo schermo per frequentare chiese ed osterie, si sussurrava in certi ambienti che «i Comunisti» mangiassero i bambini, pregiudizio ammetterete piuttosto grave se non fosse che… ma procediamo con ordine.
Correva il 1943 e negli ambienti della Repubblica Sociale di Salò cominciavano a serpeggiare sfiducia e sconforto per le sorti belliche che si mettevano di male in peggio. I partigiani – identificati tout court coi «comunisti» – intensificavano le loro azioni dietro le linee del fronte e l’Armata Rossa marciava a grandi passi verso l’Occidente. Ad un certo punto cominciò a diffondersi presso una popolazione stremata dalla guerra ed ormai ridotta alla fame che un numero consistente di bambini di età compresa fra i quattro e i quattordici anni venivano rapiti e mandati in Unione Sovietica per sopperire ai bisogni alimentari dei soldati affamati. La credenza era cresciuta sulla base delle prime per quanto incerte notizie su casi di cannibalismo effettivamente accaduti durante le terribili carestie causate, specie in Ucraina, dal piano di collettivizzazione dell’agricoltura voluto da Stalin negli anni Venti e Trenta, laddove durante i 900 giorni d’assedio di Leningrado si arrivò ad effettuare fino a mille arresti al mese per antropofagia. Fin qui – diremmo – ahimè niente di nuovo. Uno studio accademico recente sulla pratica storica del dantesco «fiero pasto» documenta come – al di là di episodi conclamati e clamorosi come quello dei naufraghi dell’Essex, la baleniera che nel 1820 ispirò il Moby Dick di Melville – episodi di cannibalismo ricorrevano in tutta Europa in occasione di carestie ed altre calamità quando – per dirla con Dante «più del dolor potè il digiuno». Fatto sta che il governo della Repubblica Sociale finanziò una campagna di manifesti sui quali compariva un infante in pannolini in atto di implorare «Papà salvami!» mentre alle sue spalle incombono minacciose una falce ed un martello.
Difficile dire se le autorità fasciste fossero al corrente di stare impiegando un mezzo consacrato da tempo per gettare discredito sui propri oppositori. Disumanizzare l’Altro accusandolo di pratiche alimentari abominevoli è stato infatti motivo ricorrente di persecuzione. In Europa soprattutto contro gli ebrei. Il 16 novembre 1491, sulla pubblica piazza di La Guardia, vicino ad Avila, in Spagna, un numero imprecisato di ebrei furono sottoposti ad un auto-da-fé e successivamente giustiziati. Fra di loro vi era un certo Benito Garcìa, un ebreo convertito reo confesso di aver ucciso un bambino cristiano per scopi rituali. Il corpo del bambino non era stato trovato e addirittura non vi era evidenza certa che un bambino fosse stato effettivamente rapito. Non solo: la storiografia moderna ne ha messo in dubbio persino l’esistenza. Il caso è stato definito da un’antropologa americana come «il peggior caso di falsa accusa d’omicidio della storia», ma ciò non ha impedito che attorno al martire fantasma sia fiorito il culto del Santo Bambino di La Guardia che dura ancor oggi. L’intero episodio ruota attorno alla leggenda che cominciò a diffondersi a partire dall’Europa Orientale quando, nel XIII secolo, prese corpo giuridico e legale il pregiudizio antisemita che fece partire, legittimandola, la persecuzione degli ebrei in Europa. Si diceva infatti che, ai fini di celebrare la Pasqua ebraica, occorresse impastare certi dolci rituali con un’ostia consacrata ed il sangue di un bambino cristiano torturato e crocifisso come Gesù Cristo. La credenza trovò ben presto conferma in una serie di processi che fecero fiorire il culto dei Santi Bambini martirizzati per celebrare il Pesach ebraico. Per quanto l’Enciclopedia Cattolica abbia definito già nel 1912 l’evento «una delle più notevoli e disastrose menzogne della storia» sta di fatto che l’Archidiocesi di Madrid ha rivendicato la verità dei fatti ancora nel 2016.
E i Comunisti? Ricordo come una certa mia anziana parente, sfegatata anticomunista, ammettesse che si fosse in effetti esagerato. «I Comunisti non mangiano i bambini – ammise – mangiano il dentifricio». Che Dio l’abbia in gloria.