I giusti calcoli di Macron

/ 22.05.2017
di Paola Peduzzi

Emmanuel Macron, neopresidente di Francia, consolida la sua fama di seduttore della politica, è andato in visita a Berlino ed è stato accolto con onori e affetto dalla cancelliera, Angela Merkel, poi si è occupato di Africa e di altri partner europei, sempre ripetendo il suo messaggio d’ottimismo: porterò la Francia fuori dal declino, e anche tutti voi. Il mondo vuole credere a questa promessa, l’Ue arriva addirittura a spezzare un tabù che pareva inossidabile e apre all’eventuale modifica dei Trattati che darebbe il via a una nuova stagione di riforme. Ma intanto Macron deve costruire la sua marcia anche al Parlamento, perché la nuova Francia si fonda su equilibri istituzionali che ancora devono essere costruiti. Il primo appuntamento, decisivo, è quello delle legislative, l’11 e il 18 giugno, il momento in cui la trasformazione prospettata dal presidente avrà la chance di diventare realtà.

Per arrivare forte a questo appuntamento, Macron ha designato un premier e un governo che sembrano fatti apposta per ottenere un buon risultato alle legislative – il suo movimento ora è diventato la République en marche. Il premier, Edouard Philippe, viene dal mondo della destra, nell’ala che fa capo ad Alain Juppé, il più sinistrorso dei gollisti Républicains, o così amano pensare molti anche a sinistra. Philippe è un liberale, in economia e nella società, un po’ ruvido a volte, ma deciso: ama anche scrivere romanzi, e per questa sua passione è stato criticato da alcune femministe che sostengono che il neopremier abbia un approccio sessista ai suoi personaggi femminili – ergo è sessista anche lui. Sulla distinzione tra l’autore e i suoi libri ci si potrebbe dilungare molto, ed è chiaro che c’è una distinzione, ma anche le frasi incriminate non sono poi così eccessive – Trump con i suoi commenti «da spogliatoio» suona molto peggio, per dire, e non era nemmeno fiction. Dal punto di vista del calcolo strettamente politico però conta che Philippe è di destra e che di destra è anche il neoministro dell’Economia, Bruno Le Maire, che è un po’ meno liberale rispetto al suo premier, ma è uno molto preciso e molto filotedesco. Se si aggiunge che anche ai Conti pubblici è stato messo uno dei Républicains, la manovra d’accerchiamento diventa esplicita: Macron vuole consolidare la sua capacità di attrazione a destra. Di più: vuole gettare nel panico i Républicains, che avendo subìto l’onta dell’esclusione al ballottaggio presidenziale, ripongono speranze nella possibilità di riscatto alle legislative. Si tratta anche di un partito ben distribuito sul territorio, e pur essendo in crisi d’identità e di posizionamento – che si fa con Macron, si combatte, ci si allea? – sta comunque molto meglio rispetto ai socialisti.

L’altro capo dell’operazione di governo di Macron riguarda appunto la sinistra tradizionale, uscita quasi morta dalle presidenziali. Quel 6 e rotti per cento racimolato al primo turno pesa come un macigno, e la possibilità di vedere annullato qualsiasi vantaggio territoriale alle legislative è molto grande. Ma trovare una strategia di rinascita in poche settimane è molto difficile, con quel che pesa per di più l’eredità hollandiana non proprio brillante. Pesano anche le molte defezioni: la presenza di Jean-Yves Le Drian al Ministero degli Esteri è un messaggio chiaro per i socialisti. Salite sul carro macroniano, vi conviene. Le Drian, hollandiano molto riverito dentro al Ps, è stato il primo tra i ministri (era alla Difesa) a dare sostegno esplicito a Macron in campagna elettorale, e la sua conferma al governo (in realtà spezza una promessa di Macron il quale aveva detto che nessun ex ministro sarebbe entrato nel suo eventuale governo) serve a continuare l’offensiva nei confronti del già debolissimo Ps.

L’ultimo calcolo politico è quello che riguarda François Bayrou, leader centrista nominato ministro della Giustizia, ma più che di politica si tratta di riconoscimento: Bayrou è stato il primo a schierarsi con Macron, quando ancora non lo faceva nessuno, rinunciando alla propria candidatura alle presidenziali per non rosicchiare voti moderati (non molti, va detto) all’avventura di Macron. Per questa fedeltà Bayrou è stato ricompensato con un ministero di peso, e con un coinvolgimento nella gestione delle attività di governo. Lo stesso discorso di ricompensa vale per il neoministro all’Interno, Gérard Collomb, simpaticissimo e istrionico sindaco di Lione, che è stato un macroniano della prima ora, tirandosi addosso le ire dei socialisti per quel primo, visionario tradimento. 

Ora per le legislative Macron conta su altri tradimenti, il sistema tradizionale è stato ferito alle presidenziali e non deve risorgere in Parlamento, altrimenti la strada del presidente sarebbe più complicata. Il seduttore in chief per ora sta facendo i calcoli tutti giusti.