Sia questo settimanale, nella rubrica di Angelo Rossi (no. 52/2019), sia «la Regione» (14 gennaio 2020) hanno presentato la ricerca pubblicata lo scorso anno dall’editore Dadò con le stesse parole: i giovani guardano a destra. Il libro – intitolato Giovani adulti allo specchio. Chi sono, cosa pensano, come cambiano – si fonda su una banca dati larghissima, circa 30mila interpellati, una base ricca e articolata, e quindi altamente rappresentativa. Figlia dei celebri «Esami pedagogici delle reclute», svolti fin dalla metà del secolo scorso per accertare il livello scolastico degli arruolati, l’indagine negli ultimi anni ha perfezionato metodi e finalità, e ampliato il campione, includendo anche le ragazze. Siamo dunque in presenza di una radiografia sociologica solida, che permette di seguire nel tempo scelte, valori, preferenze dei giovani adulti (19-20 anni), in una fase quindi di svolta della loro vita (formazione/professione, diritti politici, servizio militare).
Alcuni diagrammi non mancheranno di stupire, come quello riportato a p. 131 da Oscar Mazzoleni e Andrea Pilotti nel contributo sull’interesse politico e l’orientamento sull’asse destra-sinistra. Nella colonna concernente il Ticino figura che nel 1972 gli interpellati che rifiutavano di auto-collocarsi politicamente sfiorava il 70%, un dato sorprendente se con la memoria torniamo a quel periodo: anni «caldi», che ancora trattenevano l’eco del movimento del ’68, la contestazione alla Magistrale di Locarno e successivamente le ondate di protesta nelle scuole superiori di Lugano e Bellinzona. Nella confinante Italia il moto si era esteso agli operai delle grandi fabbriche (autunno caldo, statuto dei lavoratori), per poi crescere, tra mille contraddizioni e derive, nelle pieghe della società. Una stagione cupa, punteggiata di stragi di marca neofascista e di agguati e sequestri (Brigate Rosse).
Ebbene, cinquant’anni dopo le ricerche smentiscono l’impressione che allora la gioventù fosse pronta a mobilitarsi contro l’ordine costituito. Anzi, risulta il contrario, ovvero che soltanto un ristretto gruppo palpitasse per quanto avveniva nel paese e nelle aree di crisi, dal Vietnam al Cile. Evidentemente non era così, la forte ideologizzazione della contesa politica in realtà era faccenda che riguardava unicamente una minoranza: attiva e rumorosa, ma sempre minoranza.
Certo, le categorie che gli autori utilizzano non sono granitiche, perfettamente definite. Ogni fase dell’inchiesta rispecchia significati e umori che nel frattempo sono mutati nella coscienza degli interpellati. Si pensi all’asse «destra-sinistra», a come si è modificato nell’ultimo mezzo secolo. Cinquant’anni fa dominavano le ideologie, le grandi famiglie partitiche, atteggiamenti fideistici e tribali; oggi tutto questo è svanito, la logica binaria ha ceduto il passo ad una matassa i cui fili s’intrecciano in modo disordinato, e senza dar luogo ad appartenenze definitive.
Ciò nonostante lo schema destra/sinistra – che spesso si ritiene superato, un cascame degli antichi duelli rusticani – non è scomparso dall’orizzonte delle giovani generazioni: serve ancora a segnalare le proprie coordinate sulla mappa della politica. E questo funziona perché in fondo i princìpi della rivoluzione francese («liberté, égalité, fraternité») ancora condizionano il nostro universo mentale, suggerendoci quale strada imboccare nell’ora della scelta.
Ora – dicono gli ultimi dati raccolti – i giovani appaiono attratti più dalla destra che dalla sinistra. In questo caso non c’è sorpresa. Il pendolo ha iniziato ad oscillare in quel settore già a partire dagli anni Ottanta con il riflusso per poi proseguire nei decenni successivi, sull’onda del neoliberismo galoppante, messaggero di benessere generale. In realtà, come s’è visto dopo l’infarto bancario del 2007-2008, anche le promesse legate alla globalizzazione si sono via via liquefatte per lasciare il posto, nelle classi dei perdenti, ad un diffuso senso di impotenza e di abbandono. La destra qui ha avuto, e ha ancora, buon gioco a cavalcare disagi e frustrazioni.
Ma l’idea di politica, come ancora dimostra questo studio, non è statica. Negli anni ’70 faceva tutt’uno con le visioni del mondo ereditate dall’Ottocento; oggi invece politica significa impegno e partecipazione fuori (e a volte contro) i partiti, una mobilitazione per valori alti come la tutela dell’ambiente, l’economia sostenibile, l’aria pulita, un commercio che non sia sinonimo di sfruttamento e saccheggio. Vedremo se e come le prossime inchieste sociologiche registreranno questa ulteriore virata del quadro valoriale dei giovani.