Paysage fantastique aux roches anthropomorphes è il titolo con cui, nell’autunno del 1977, un quadro di Courbet, in occasione della grande mostra per il centenario della morte, viene esposto al Grand Palais di Parigi. Anni dopo ad Amiens, al Musée de Picardie, in quel quadro, un insegnante di Saillon, in Vallese, riconosce un paesaggio familiare. Sepolto, fino a quel momento, nei ricordi d’infanzia, visto che il posto, nel frattempo, per via di alcune piene del torrente, era diventato inaccessibile. Dipinto nell’autunno 1873 da Gustave Courbet (1819-1877) – «il maestro del realismo» come spesso viene chiamato l’autore del quadro-scandalo L’Origine du monde – nelle gole della Salentze, dove mi sto dirigendo. L’unica opera di fantasia di questo quadro, dunque, sembra essere, finora, il titolo affibbiatogli per la retrospettiva parigina. E l’unico indizio sicuro, per trovare il posto dipinto – attrazione turistica minore dell’ottocento tipo orrido con rocce a forma di teste giganti e sorgente termale, della quale si era persa conoscenza per via della sparizione del sentiero – è risalire il corso della Salentze. Appena percepibile, un po’ fuori dal villaggio viticolo di Saillon abbarbicato su un promontorio dove svetta una torre duecentesca, la piega boschiva nella montagna che suggerisce, in lontananza, le gole.
Così, un pomeriggio ai primi di ottobre con un sole che spacca i sassi, a metà strada tra Sion e Martigny, cammino sulla sponda sinistra di questo fiumiciattolo affluente destro del Rodano. Dappertutto, vigneti gravidi d’uva pronta per la vendemmia, si distendono sul suolo propizio, aggrappandosi finché possono alla roccia calcarea. Entro tra le querce pubescenti e dopo non molto, ecco, all’altezza del ponticello di legno, il posto del quadro. La testa del gigante, di profilo, tutta ammantata di muschio, bocca aperta, appare al primo colpo d’occhio. Una cascatella gli piove in testa e scende accanto all’orecchio. Il gigante, più incantevole del previsto, si trova sulla sponda opposta dove approdo ora, all’entrata della gola buia che forma come una caverna. La Caverne des Géants è il titolo con cui il quadro viene appeso a Losanna, nel maggio 1874, in una esposizione organizzata dalla Societé Suisse des Beaux-Arts, assieme a due altri quadri, uno con tre trote. Per centotré anni si perde poi di vista, perdendo, per strada, anche il titolo. «La testa enigmatica di Saillon» è invece la didascalia di un’incisione apparsa nel 1869 sulle pagine di «Der Bund» dove anche lì, come nel quadro, a differenza di oggi, l’acqua usciva dalla bocca. Un mostro bonario, con qualcosa dell’orsacchiotto di peluche, mi sembra adesso il gigante che aveva spaventato il piccolo Claudy Raymond, l’insegnante che ad Amiens riscopre il luogo dell’olio su tela di Courbet. Scappato in Svizzera dopo l’accusa di aver causato la caduta della colonna Vendôme durante le sommosse comunarde. La doccia termale, che scende da una fenditura in un tronco, è il mio rifugio attuale. Poderosa, chinandosi in avanti, massaggia a meraviglia il collo e la schiena.
Una panca umile e un appendiabiti spartano aiutano il viaggiatore a spogliarsi al volo e infilarsi, o meno, il costume da bagno. Terme, la cui selvaggità, è accentuata dalla presenza, in giro, della felce lingua di cervo (Phyllitis scolopendrium). Le pietre dove scroscia l’acqua che sgorga dalla roccia a venticinque gradi, sono tutte rossastre. Ferruginosa, l’acqua curativa, è anche ricca di bicarbonato di calcio. Una scala a pioli porta alla passerella dove, nel quadro, si vede una passante con l’ombrellino e adesso passa la bisse termale. Scorgo, dentro la gola, una cascata. Qui è morto misteriosamente – non si sa se cadendo da solo o ucciso da un poliziotto – Joseph-Samuel Farinet (1845-1880), falsario specialista dei venti centesimi, eroe regionale, e protagonista di un libro di Ramuz. Era marginale ma amato dal popolo: così, una targa di bronzo nella roccia, ricorda «il Robin Hood delle Alpi» senza dimenticare di precisare che è stata posata nel 1990 dai suoi amici con la complicità della Banca cantonale del Vallese.
Ridiscendo la scala a pioli, mi sono quasi dimenticato dell’altro gigante. Se nel punto di vista del dipinto di Courbet, falsando un po’ la realtà del luogo, il secondo gigante, meno evidente, è inquadrato assieme a quello ben più caratteristico, in verità bisogna andare a cercarlo. Dentro la grotta-gola, dove scorre la Salentze, scovo con gioia, la roccia antropomorfa, speculare all’altra, che mostra il secondo gigante, più timido, di Saillon. Toponimo, tra l’altro, noto agli intenditori per via dello straordinario marmo cipollino estratto da questa montagna, un po’ più in alto, e innestato, per esempio, all’Opéra Garnier di Parigi, National Gallery di Londra, cattedrale di Westminster. In compagnia dei due giganti di Saillon (530 m), mi siedo su un sasso e mangio una pera: presa prima, su una bancarella servisol di frutta, guardacaso, per venti centesimi.