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I figli e i desideri inappagati

/ 07.11.2016
di Silvia Vegetti Finzi

La lettera di Susanna, che vorrebbe tanto avere una figlia femmina dopo due maschi, ma che non può realizzare il suo desiderio per l’opposizione del marito, ha suscitato due interventi molto diversi, ma entrambi di grande interesse.

Nel primo, la signora Renata così scrive: 
Ho letto la richiesta di aiuto di Susanna e sono dispiaciuta per lei che non abbia avuto la figlia dei suoi sogni. Io ho 55 anni e tre figlie, ma nemmeno io ho avuto la figlia dei miei sogni. Parliamoci chiaro, voglio un bene dell’anima a tutte e tre, ma anch’io mi ritrovo a pensare: «come sarebbe bello se…». È pericoloso proiettare tutto sui figli, peggio ancora su un potenziale figlio (anzi FIGLIA, le probabilità sono del 50%). Non è meglio cercare di vivere il presente? – 

Dafne ci presenta invece l’altro punto di vista, quello della figlia concepita dalla madre contro il volere del marito:
Dopo il terzo tentativo, e tre figli maschi, mio padre non voleva più sentir parlare di una figlia femmina ma lei deve aver talmente insistito (credo per riversare su di me l’amore che le è mancato da sua madre) che (chissà come) sono nata io e lei mi ha ADORATA! Ma gli altri? DETESTATA! ODIATA!

Lei ci ha amato tutti e quattro ma io di più: ero la sua bambina! … Da quando mia madre non c’è più... è scomparso l’unico filtro che costringeva il clan a tollerarmi/sopportarmi. Ora ho 50 anni, indipendente, «cresciutella» ormai. C’è voluta tanta volontà per liberarmi dalla sua prigione d’amore, ma non potrò mai liberarmi dell’odio del clan, eppure non ho colpe…

Mi scuso con Renata e Dafne per aver dovuto tagliare parte delle loro lettere e le ringrazio per la stima e la gratitudine che mi esprimono e che ricambio di cuore, estendendola a tutti i lettori. I temi sollevati sono talmente tanti, e così profondi, che mi limiterò ad alcune osservazioni.

Innanzitutto è significativo che le scriventi abbiano più o meno cinquant’anni, un’età della vita in cui si fanno bilanci e si guarda il mezzo secolo trascorso per valutare sé stesse e trarne indicazioni per il futuro, per sé e per gli altri. In questo senso il tema del desiderio è fondamentale.

Renata ci fa notare che il desiderio, indipendentemente dalla sua attuazione, è intrinsecamente irrealizzabile: resta sempre un «come sarebbe bello se…», che alimenta il nostro scontento. Ed è bene così perché la soddisfazione completa, definitiva, viene a coincidere con la morte. Siamo «esseri di desiderio» ed è questa spinta che vi fa vivere e intenzionare il futuro. Il futuro non esiste al di fuori della nostra «tensione dell’anima», per usare una bella espressione di Sant’Agostino. Mentre gli animali, soddisfatti i bisogni essenziali, dormono, noi, sempre inquieti, riapriamo volontariamente i giochi della vita. In particolare, per quanto riguarda i figli, credo che il figlio perfetto, ideale, definitivo non esista. Ognuno possiede nell’inconscio un’immagine di nascituro, trasmessa dall’istinto per orientare i comportamenti generativi, un Il bambino della notte che, essendo una fantasia, non coinciderà mai col bambino del giorno, col figlio in carne e ossa. Resta sempre una discordanza che sollecita il desiderio inappagato a dire «ancora». 

Credo che , quando Renata ci invita a «vivere il presente», voglia dire che il desiderio umano è mobile e che, come tale, può essere spostato su altre méte, magari piccole, quotidiane, ma non per questo insignificanti.

Da Dafne ci viene invece un avvertimento importante: guardate, ci dice, che il desiderio materno è così forte, passionale, da divenire pericoloso. Mentre sua mamma, mettendola al mondo, sanava la ferita del proprio disamore, apriva con la figlia un altro contenzioso, quello dell’eccesso, del troppo amore che diventa «una prigione da cui liberarsi». 

Quando ci si volta indietro e si ripercorrono i tracciati del destino, si scorge che un filo rosso unisce le generazioni per cui, nascendo, abbiamo già ricevuto le premesse della nostra storia. Premesse che starà a noi confermare o disconfermare, anche facendo i conti con un sentimento difficile da governare: il senso di colpa. Tanto che Dafne, figlia ingiustamente odiata dai maschi della sua famiglia, ancora si chiede quale sia la sua colpa. Forse quella di essere nata, come tutti, con le stigmate del «peccato originale». 

Come vedete, la riflessione proposta si alimenta di sempre nuovi argomenti perché il desiderio è il cuore pulsante della nostra vita psichica, che dura finché permane un vuoto, una mancanza che, mentre cerchiamo l’appagamento, ci fa inconsciamente «desiderare di desiderare».