I dilemmi del giovane Plinio

/ 02.05.2022
di Cesare Poppi

Uno dei risultati paradossali del Comunicozoico, sezione specifica del- l’Antropocene recentemente individuata dall’Altropologo, è che più si moltiplicano i mezzi di comunicazione d’ammasso e meno ci si capisce. E meno ancora ci si intende su quanto e cosa si possa dire, pace quello che si debba dire. Altroché Babele. Allora almeno non si poté più capire a prescindere per via dell’implosione dei media fino ad allora globalizzati voluta dall’Hacker Supremo. Motivo? Boh?! A Suo dire, si narra, fu perché l’umanità si era montata la testa per imbarcarsi in un’impresa edilizia di tale portata da fare impallidire le torri di Dubai – che infatti stanno ancora in piedi. Fu però di conseguenza, allora, possibile avviarsi su di un percorso di redenzione – lungo, faticoso, più spesso che no tragico, contraddittorio, fragile, inutilmente crudele e dunque tanto più patetico – che comunque (così ci siamo narrati), ha aperto nella Selva Oscura una varietà di passaggi – percorsi alcuni aperti ed evidenti a tutti, altri cifrati e misteriosi «solo per adulti specialisti» sì da poter mettersi in rotta per poi approdare a quel Raziocene dove sembrava che le magnifiche sorti e progressive del Bardo di Recanati fossero finalmente vendicate.

Fermi! Calma e gesso (così raccomandava il Senatur): non mi imbarcherò a mia altropologica volta in una filippica nostalgica di quando una volta sì le cose fossero chiare, il bianco era bianco, il nero era nero e il grigio solo una brutta giornata. A chi piace ammonire come niente sia più come una volta occorre ricordare come sia sempre stato così, e dunque… No: la querelle di Bucha (e le altre a rimorchio che verranno) ha portato in superficie, ovvero ribadito per chi avesse scarsa memoria, come anche – e soprattutto – nel Comunicozoico, la sorte di Babele si riproponga. Però, questa volta, a tavoli ironicamente rovesciati: all’Unico occhio elettronico – globale, multinazionale e moltiplicato in una babele di video – quello che i molti Spettatori Divanati dei Paesi Liberi possono misurare «per la verità dei fatti» corrispondono «narrative» opposte: «Sono stati Loro»; «No, siete stati Voi per far credere che siamo stati Noi»; «Noi: sono stati Loro per far credere che siamo stati Noi per far credere che siano stati Loro perché così Noi…». Di questi infantili ambarabàciccìcoccò risuonava il cortile di periferia dove da bambini si finiva per darsele per determinare senza equivoci chi «avesse cominciato». Poi per fortuna interveniva La Mamma. Ma ricordo che alcuni finirono in ospedale.

Il 30 aprile del 311 dopo Cristo segna la fine delle persecuzioni delle autorità dell’Impero Romano contro i Cristiani. Se l’ultimo a darci dentro fu Diocleziano – sua la responsabilità tanto dell’ultima e più severa persecuzione quanto della loro fine (poiché se c’è un fatto di cui possiamo esser certi è che ogni guerra finisce con una pace, e quello sì, è sempre stato così) – i suoi colleghi Severo, Massimiano e Costanzio a partire dal 303 non si erano risparmiati. Ma la storia era lunga già allora. Già dal 111 d.C. in Ponto e Bitinia (attuale Turchia Settentrionale) serpeggiava un’opposizione alla centralità Romana. Divenuto Governatore, Plinio il Giovane (nipote del Vecchio) si trovò a dover dipanare l’aggrovigliata matassa di una potenziale esplosione dei conflitti etnici, economici, religiosi (e le micidiali, intrattabili e velenose interfacce che ne risultavano). Un cauto, responsabile Plinio intento a capire quali mai fossero i «crimini» dei cristiani che a lui sembravano tutto sommato, per i loro standard morali, meno da temere di altri candidati alla repressione… chiedeva all’Imperatore Traiano come comportarsi nei loro confronti. Traiano – da quel grande Servo dello Stato che fu senza mai farsi ingannare da chi lo voleva Dio (la Divinità dell’Imperatore era, come capirono Servitori dello Stato del calibro di Marco Aurelio e pochi altri, una misura di propaganda mediatica per gli idiotes che altro non potevano comprendere) – raccomandava prudenza, accertamento dei fatti e circostanze in uno scambio di lettere col suo Governatore che resta oggi esemplare per equilibrio, senso dello Stato e senso – udite udite – della responsabilità di chi governa di preservare anzitutto la pace sociale.

Nella storiografia moderna dominante quanto, cosa, come e perché le «narrative» della persecuzione dei cristiani siano così contrastanti dipende da un rinunciatario «punto di vista», la «narrativa». Da un relativismo ovvero – ha firmato l’appello l’Altropologo con una X – che nella ricerca della verità – quella di fatica a lettera minuscola – ha dimenticato di relativizzare il relativismo. Hic Rhodus, hic salta.