Sono le 09.02 di giovedì 17 marzo. Mi metto al computer. Nella mia testa lievitano un paio di certezze. Ma frullano soprattutto dubbi e perplessità. Per l’ennesima volta mi dico che lo sport sottostà a una logica scientifica, fatta di dati, cifre, elementi quantificabili. Ma nel retrobottega del cervello campeggia il solito insondabile concetto. Mistero. Di certo so che ieri sera la Juventus ha lasciato la Champions League, sconfitta a Torino per 3 a 0 dal Villareal. Sono pure certo del fatto che domani sera a Losanna, dopo aver conquistato i pre-play off, l’Ambrì Piotta darà l’assalto anche ai play off. Quando leggerete questo articolo la fase a eliminazione diretta del campionato di hockey su ghiaccio sarà già a uno stadio avanzato. Con o senza Lugano e Ambrì Piotta? Chi lo sa. Perdonatemi. Non ho capacità divinatorie. E perdonate pure il fatto che mi concentri sui biancoblù e non sui bianconeri, il cui accesso, quanto meno ai pre-play off, mi è sempre parso più che scontato.
E ora cominciano le rogne. I dubbi che rodono. Quelli che sorgono dopo una semplicissima domanda. Perché? Perché dopo una serie infinita di successi la Juventus di Massimiliano Allegri crolla in 12 minuti nella partita più importante della stagione, dopo aver dato la sensazione, nel primo tempo, di potersi sbranare gli spagnoli come se fossero una forchettata di plin? Perché l’Ambrì Piotta, spacciato da tutti fuorché dalla matematica, risorge dalle proprie ceneri, sconfigge quasi tutte le grandi del campionato e risale da un baratro che sembrava incolmabile?
Mi rifiuto di credere che l’arrivo della saracinesca Juvonen a difesa della gabbia sia l’unica risposta. Il portierone finlandese ha senza dubbio offerto il suo indispensabile contributo, ma le ragioni sono altre. Si nascondono nella testa di ognuno degli interpreti. Si annidano nelle alchimie di gruppo. Nella capacità da parte di allenatore, presidente, direttore sportivo, mental coach, o capitano, di pronunciare la parola giusta al momento giusto. Qualcuno di questi deve essere in grado di cortocircuitare il pensiero negativo. Di resettare il sistema. Di implementare in un amen una nuova filosofia. Sono sfumature che possono modificare, se non il corso della storia, per lo meno quello di una sfida sportiva.
Ieri sera allo Juventus Stadium, dopo il primo calcio di rigore trasformato dagli spagnoli i volti raccontavano storie. Di paura e di smarrimento su quello dei bianconeri. Di furore sacro su quello dei ragazzi diretti dal basco Unai Emery. Non è un caso che in pochi minuti si sia consumato il tracollo della Juventus.
Torniamo entro i nostri confini per tentare di spiegare il miracolo compiuto dai leventinesi. Dopo un avvio di campionato molto incoraggiante (stranieri compresi), dovuto verosimilmente all’euforia di giocare nella nuova casa, la squadra di Luca Cereda è sprofondata in un abisso che ha provocato rabbia e imbarazzo. La rabbia di coloro che volevano un avvicendamento sulla panchina. L’imbarazzo di chi non riusciva a capire come si potesse chiudere il secondo periodo in vantaggio, a volte anche ampio, vedi il 4 a 0 contro lo Zugo, per poi cascare come fichi maturi negli ultimi 20 minuti. Sono certo che neppure il più folle degli ottimisti, anche sotto gli effetti di sostanze psichedeliche, avrebbe predetto la rimonta dell’Ambrì Piotta sul Berna. Eppure c’è stata. Pagherei profumatamente chi fosse in grado di darmi una risposta convincente. Anche perché non credo ci sia.
Ci sono momenti e gesti in cui ognuno pensa di intravedere l’anima di un gruppo. Dominic Zwerger che pattina sotto la curva brandendo e baciando la maglia all’altezza del cuore, mi convince di più di un trattato di psicologia di gruppo. Ad ogni modo sono felice che simili episodi accadano. Godo quando una piccola batte una grande. Quando l’elemento sorpresa sta dalla parte di chi ha meno risorse finanziarie. Sarò forse masochista, ma dopo un primo momento di sbigottimento, mi capita anche quando a farne le spese è una squadra per la quale simpatizzo. Il piacere di constatare che nello sport a volte i soldi non sono tutto, compensa ampiamente le delusioni del tifoso che c’è in me.