I costi sociali del frontalierato

/ 21.03.2022
di Angelo Rossi

Ogni tanto mi capita di scambiare opinioni con gli amici economisti ticinesi su questo o quel problema. Tra quelli che si discutono più di frequente c’è quello della apparente inarrestabile crescita dell’effettivo di lavoratori frontalieri occupati nel Cantone. Stando ai dati più recenti i frontalieri occupati nella nostra economia sarebbero 74’199, il che dovrebbe rappresentare qualche cosa come il 31% dell’occupazione totale. Ci stiamo rapidamente avvicinando alla situazione in cui 1 occupato su tre della nostra economia sarà frontaliere. Siccome né l’effettivo dei lavoratori svizzeri, né quello dei lavoratori stranieri domiciliati, né, tanto meno, il livello della produttività aumentano, nel corso degli ultimi anni, il grande merito dei lavoratori frontalieri è stato quello di assicurare, con la progressione dei loro effettivi, un tasso di crescita positivo – in media superiore all’1% – del prodotto interno lordo reale del Cantone. Senza l’aumento dei frontalieri non ci sarebbe stata crescita economica in Ticino, negli ultimi dieci anni. Se questo non è un merito…!

Ma come ogni fenomeno economico anche il frontalierato ha i suoi costi. Senza voler entrare nei dettagli di un calcolo costi-benefici che, finora, nessuno si è arrischiato a fare, possiamo ricordare che i frontalieri sono all’origine di costi sociali importanti, tra i quali, i più conosciuti, sono quelli determinati dalle lunghissime code sulle nostre autostrade e strade nelle ore di punta delle giornate lavorative. Sono difficoltà queste che devono sopportare tutte le regioni che ricorrono ai frontalieri. È evidente che i costi sociali del traffico frontaliero aumentano con il crescere degli effettivi, rispettivamente della proporzione che gli stessi hanno rispetto alla popolazione o all’occupazione della regione esaminata. Nessuno si sorprenderà apprendendo che il Liechtenstein, piccolo principato con 38’700 abitanti che dà però lavoro a 40’600 persone delle quali 22’700, ossia il 56%, sono frontalieri, ha, in materia di costi sociali del traffico veicolare problemi anche maggiori del Ticino. Siccome il principato dispone di poca superficie, la soluzione di allargare le strade non sembra più praticabile. Qualcuno ha quindi suggerito di introdurre il «road pricing» facendo, in un certo senso pagare l’ingresso ai lavoratori frontalieri. È come se si introducesse un sistema di razionamento dell’uso delle strade, o per lo meno di quelle che attraversano la frontiera con la Svizzera e con l’Austria. Apriti cielo! La reazione è stata come quella che ha accolto, a suo tempo, la tassa di collegamento in Ticino. Sulle possibilità tecniche e su quelle politiche di introdurre una tassa d’entrata nel Principato si può discutere a lungo.

Non si può invece negare che i flussi giornalieri di frontalieri che vi si recano, con la propria automobile, per esercitarvi la loro attività lavorativa non siano all’origine di costi sociali consistenti quando, come nel caso del Liechtenstein, nel paese circolano più automobili di frontalieri che automobili dei suoi abitanti. Il «road pricing» potrebbe effettivamente essere una misura efficace per internalizzare questi costi, ossia per esigere, da chi li provoca, che ne sopporti almeno una parte. In Ticino, dove i costi sociali dei flussi di traffico provocati dai frontalieri rappresentano sicuramente un multiplo di 6 o di 8 di quelli del Liechtenstein nessuno ha pensato fin qui di chiamare i frontalieri alla cassa. Si cerca di alleviare il problema aumentando la capacità delle strade. I costi delle nuove infrastrutture li sopporteranno i contribuenti svizzeri e ticinesi. Non c’è però che da aspettare: se i flussi di frontalieri anche in Ticino dovessero raggiungere le proporzioni di quelli del Liechtenstein, si realizzerebbe una situazione che potrebbe effettivamente suggerire soluzioni nuove. Se, per esempio, l’effettivo di frontalieri raddoppiasse e salisse a 150’000 unità, una tassa che internalizzerebbe i costi sociali del traffico a loro attribuibili, potrebbe addirittura consentire di giustificare il finanziamento di due linee di metro: la prima da Camerlata a Rivera e la seconda da Porlezza a Ponte-Tresa Italia. Aspetto ora con interesse le reazioni dei miei amici economisti. Se la città Ticino avrà bisogno di un metrò questo dovrà di sicuro attraversare la frontiera con l’Italia.