I cambiamenti culturali bisogna volerli

/ 25.05.2020
di Natascha Fioretti

Scrive un lettore del quotidiano digitale «Die Republik»: «Apprezzo gli articoli d’insieme capaci di fornire un quadro generale e approfondito. A seguire i media quotidiani non si capisce più dove mettere la testa». Il magazine digitale zurighese senza pubblicità, all’inizio dell’anno rischiava grosso. Se per marzo non si fossero raggiunti i 19’000 abbonati e trovati altri 2,2 milioni di franchi attraverso investitori e donazioni, il giornale avrebbe chiuso. Per la felicità di molte testate tradizionali come la NZZ che ha sempre guardato con scetticismo e pronta alla critica un’iniziativa editoriale che gioca secondo altre regole. Oggi, invece, la testata è più in forma che mai e può contare su 22’969 abbonati e 2’766’859 milioni di franchi in più. La pandemia sembra aver portato fortuna perché soltanto nel mese di marzo sono arrivati 3750 nuovi abbonati confermando la tendenza generale per cui in questi mesi (c’è da vedere se ora continuerà) è cresciuta l’attenzione per il valore delle notizie e del giornalismo di qualità.

Se il modello della testata zurighese è vincente ce lo dirà il tempo, in ogni caso è chiaro che queste iniziative editoriali rappresentano il domani e aprono la strada a un giornalismo digitale indipendente dalla pubblicità. La stessa che oggi tiene in scacco grandi gruppi come TX Group (ex Tamedia) e NZZ che hanno introdotto l’indennità per il lavoro ridotto senza però rinunciare a distribuire i dividendi ai propri azionisti e annunciando imminenti licenziamenti. Un atteggiamento ambiguo che da lettrice non ho apprezzato.Ben venga in quest’ottica il pacchetto di aiuti ai media deciso dal Consiglio federale che include anche la promozione dei media online: «la popolazione si informa sempre di più attraverso la crescente offerta informativa digitale. Il loro peso democratico e politico cresce. Per sostenere il settore nel processo di trasformazione digitale è tempo che anche i media digitali ricevano un sostegno. Per questo il Consiglio federale si impegna a stanziare ogni anno 30 milioni di franchi. In particolare si sostengono quei media che si fondano sulle entrate provenienti dai lettori». Un incentivo necessario e importante che dovrebbe invitare a lanciare nuovi progetti di cui, a mio avviso, nel nostro Cantone ci sarebbe un forte bisogno.

A proposito di opportunità e di cambiamenti c’è l’esperimento digitale appena concluso con successo del Salone del libro di Torino. Un programma, stando ai dati, che ha conquistato la Rete con la partecipazione di cinque milioni di persone, 2’004’459 utenti raggiunti su Facebook, e 2’909’154 impressioni su Youtube. Entusiasta Nicola Lagioia, il direttore del Salone andato in onda dal 14 al 17 maggio dal titolo Altre forme di vita: «Siamo andati su un altro pianeta. E ci hanno accolti molto bene». Tant’è che questa formula probabilmente si ripeterà à côté della prossima edizione in carne e ossa. Tra i tanti incontri in video-chiamata (si possono rivedere su youtube) trasmessi in diretta sui social, i dialoghi e le lectiones offerte, ho seguito con grande interesse la performance inaugurale di Alessandro Barbero, professore di storia medievale, dalla Mole Antonelliana. Il titolo è perfetto: Conseguenze inattese. Come l’umanità reagisce alle catastrofi.

Per capire il presente ci dice che dobbiamo interrogare la storia, «l’immenso catalogo di tutte le cose umane fatte prima di oggi. La storia è la collezione dei racconti e dell’analisi di come gli esseri umani si sono comportati di fronte a qualunque problema, qualunque sfida». In particolare nel suo discorso fa riferimento alla peste antonina che colpì l’impero romano alla fine del secondo secolo d.C. e alla peste nera del 1348. La verità è che le conseguenze dei più grandi avvenimenti storici sono inattese ma l’umanità ha sempre avuto la forza di intercettare nuove opportunità. E rispetto ai grandi proclami collettivi di questi mesi dobbiamo fare attenzione perché dopo una grande pandemia la mentalità collettiva e con essa i modi di ragionare e i nostri valori non cambiano automaticamente. «I cambiamenti culturali non sono garantiti, bisogna volerli». Ergo, se l’umanità ha una straordinaria capacità di ripartire e di imboccare strade nuove, quando quelle vecchie si dimostrano vicoli ciechi, non resta che rimboccarci le maniche.