Già il nome la dice lunga sulla vocazione termale del luogo. Non solo un prefisso come Bad Ragaz o un suffisso come Leukerbad, ma ricordando molto Bath – in Inghilterra, nel Somerset – tutto il toponimo è acquatico. Aquae Helveticae: così il posto viene citato da Tacito nel 69 dopo Cristo quando a mollo si mettevano i legionari della vicina Vindonissa. Terme romane dunque, descritte poi con occhio antropologico dall’umanista toscano Poggio Bracciolini in una briosa lettera del maggio 1416 che sprizza entusiasmo a ogni riga per l’ingenuo epicureismo senza veli degli abitanti di Baden.
Cittadina del canton Argovia a venti minuti di treno da Zurigo, dove metto piede alle 9.21 sul binario tre verso fine aprile. A inizio marzo, dopo anni di tiraemolla, sono partiti i lavori per le nuove terme firmate Botta. Abbattuti non da molto i bagni in beton di Otto Glaus (1914-1996) sorti negli anni sessanta e mimetizzati alla perfezione con piante sul tetto, posto dovrebbe essercene. Imbocco la Bäderstrasse che scende verso il Bäderquartier in riva alla Limmat. Finita la Belle Époque, dopo il declino dal dopoguerra a oggi, tutto è in stallo. A parte l’Hotel Blume e il Limmathof dove lì fuori c’è anche una panchina termale pubblica. Meglio di niente, ma immergere solo i piedi nell’acqua più ricca di minerali della Svizzera è una magra consolazione.
In attesa del «Botta-Bad», un’associazione ha ricreato quest’inverno un bagno popolare in piazza, come ai tempi di Poggio Bracciolini. E proprio così, in italiano, si chiama questo ammirevole progetto itinerante. Il Bagno Popolare, dopo qualche mese davanti al Verenahof, sulla Kurplatz dove sfocio ora, si è spostato da poco dietro l’angolo, captando la Limmatquelle: una delle diciotto fonti curative secolari disseminate in questo angolo dove la Limmat fa gomito, piegandosi a ovest. Delle curiose assi da cantiere a righe – al posto del solito rosso abbinato al bianco c’è un azzurro balneare – indicano la via. La vasca quadrata è ottenuta con legname grezzo da costruzione. L’acqua è azzurra per via del telone dentro. A una sbarra di acciaio tondo per il cemento armato, piegata in cima all’ingiù, è appesa una lampada da lavoro. Su una lavagnetta, agganciata a una rete metallica, c’è scritto in gesso che dalle 22 inizia la Nachtruhe. Dietro la rete si apre lo squarcio creato dalle ultime demolizioni. Ci sono anche due cabine, ottenute proprio con le assi recuperate dagli spogliatoi dei bagni di Glaus. Improvvisazione a regola d’arte, non manca niente. Mi cambio veloce, appendo la mia roba sugli appendiabiti fuori dalle cabine. Ed entro nella vasca definita in febbraio dal «Tages Anzeiger»: «Guerrilla-Badi». Definizione azzeccata perché ricorda proprio il guerrilla gardening, pacifico giardinaggio d’assalto sviluppatosi negli ultimi anni nelle grandi città: quattro assi in uno spazio pubblico ed ecco coraggiose aiuole pirata. Lo spazio infatti è quello di una aiuola, ma basta per distendere le gambe. L’acqua sgorga a 46,6 gradi da quattro tubature ottagonali di legno. Una meraviglia sentirla sul collo.
La Limmat scorre qui davanti a un passo. In faccia, c’è lo storico hotel Schwanen restaurato di fresco sul cui tetto svetta, quasi invisibile, un cigno. Alle mie spalle, come delle quinte teatrali per la terra sventrata, sorge fiero l’altrettanto storico Verenahof chiuso nel 2012. La statua di Santa Verena, il cui culto, in questo caso focalizzato sulla fertilità femminile, è migrato dalla non lontana Bad Zurzach dov’è morta, vigila in cima. Grazie al cielo, al pari di due altri hotel – il Bären e l’Ochsen – è un «bene culturale d’importanza nazionale» e perciò non si tocca. Testimoni del termalismo perduto. Le proprietà dell’acqua incominciano a fare effetto, i muscoli si rilassano e la mente si snebbia del tutto. Nubi minacciose nel cielo, altre retroilluminate dal sole, sprazzi di azzurro lassù sopra i vigneti. La fonte, scoperta nel 1489, risale un pozzo di nove metri.
I bagni-guerrilla (352 m) di Baden, va detto, forse anche grazie alla loro provvisorietà, donano una libertà profonda. Il segreto da cogliere è una certa sprezzatura rinascimentale. Tutto è accurato ma al contempo c’è la grazia della noncuranza. Chissenefrega se due pezzi della miniroggia in legno da dove fuorisce l’acqua dalla vasca sono legati con lo scotch, anzi. I materiali di scarto non sono abbelliti, ma così come sono. Alla buona ma con rigore sembra essere lo slogan di questi bagni da battaglia. Una semplicità che batte, almeno per me, cinquanta milioni di volte, la megalomania. Una vecchia vasca da bagno con dipinto il logo del bagno popolare – la vasca da bagno stessa con le zampe e zampillo da fontana – troneggia sul cilindro trasparente della Limmatquelle dove da vicino, si vedono le bollicine salire. Il panorama-cantiere sullo sfondo, con il sottosuolo-voragine che mostra i resti della balneologia ritenuta obsoleta, non è neanche male. Lo potete ammirare, immersi, fino al 18 giugno. Il colpo di scena è che da qui, si possono distinguere benissimo, tra le macerie, le pietre delle terme romane.