I «1000» del New York Times

/ 15.06.2020
di Ovidio Biffi

Tutti i media del mondo da anni sono alla ricerca della formula che consenta alla pubblicità online di avere l’efficacia e la praticità delle inserzioni sulla carta. Obiettivo: rimpiazzare il mix abbonamenti – pubblicità che sinora ha tenuto in vita la stampa scritta. La caccia a questo «Sacro Graal dell’editoria» è tornata di grande attualità negli ultimi mesi, cioè da quando la pandemia ha imposto una ulteriore e inattesa riduzione delle abituali entrate pubblicitarie. Così le aziende giornalistiche e tutta l’industria mediatica, pur sapendo di dover cercare maggiori sostegni dai lettori per coprire le minori inserzioni pubblicitarie, ora vagolano all’insegna di un «cosa potrà ancora capitarci domani?». (Detto tra parentesi: a guardare bene è la stessa insegna che il Coronavirus ha acceso anche sopra la testa di politici, imprenditori, azionisti e lavoratori. Infatti lo stesso interrogativo sovrasta lo stallo di tante industrie, dalle compagnie aeree al settore dello spettacolo e della cultura, mettendo in forse il futuro della globalizzazione). C’è però un’eccezione: sui siti online, anche degli stessi quotidiani, dei siti di informazione e delle riviste, la pubblicità è aumentata vistosamente. Questo paradosso sembra suggerire che – un po’ come è capitato con il teleworking o le vendite online – che pandemia e «lockdown» stanno spingendo anche l’editoria a cercare cambiamenti o nuovi orientamenti tecnici.

Una conferma a questa personale impressione l’hanno data due notizie che riguardano il «New York Times». Dapprima l’annuncio di un nuovo primato: il quotidiano americano ha realizzato nel primo quadrimestre dell’anno utili per oltre 44 milioni di dollari, garantiti in parte da nuovi abbonamenti sottoscritti da lettori durante il «lockdown», ma dall’altra anche da un aumento della pubblicità dell’edizione online. Il risultato ripaga la scelta strategica del maggior quotidiano statunitense di puntare principalmente sul digitale, mantenendo però come base il cartaceo e rafforzando la simbiosi fra giornalismo di qualità e ingegneria informatica. Certo, siamo (con numeri e mezzi finanziari) in America. Ma è risaputo, e comprovato, che quel che accade laggiù oggi, dalle tempeste invernali sino alle nuove tecnologie e alle mode consumistiche, presto o tardi diventerà un trend anche in Europa e imporrà sviluppi in tanti settori. Non a caso le strategie del NYT sono già seguite e messe in atto, ovviamente in forme meno sofisticate, anche dalle nostre parti.

In aggiunta al successo economico, dal NYT arriva un altro segnale: la sua prima pagina dell’edizione cartacea di domenica 24 maggio, subito trasmessa in tutto il mondo (si dice «virale», gratuito omaggio alla velocità di diffusione dei virus...) dai social media. Titolo sulle sette colonne del grande formato: «I morti negli Usa arrivano a 100’000, una perdita incalcolabile». Apre la prima colonna questo sommario: «Non erano solo nomi su una lista. Eravamo noi»; segue una tristissima sottolineatura: «Mille persone rappresentano appena l’uno per cento del bilancio totale dei morti. Nessuno di loro era solo un numero». Inizia poi la processione dei nomi di mille scomparsi per il coronavirus, senza ordine, gente comune e illustri personaggi, ognuno segnalato da stringati e toccanti «curriculum vitae». Una straordinaria lezione di giornalismo che, introdotta dal cordoglio per i lutti, raggiunge alti livelli di coraggio civico e si trasforma in messaggio politico rafforzato dall’autorevolezza di un quotidiano prestigioso.

Tornando al tema dell’editoria e guardando solo con occhio tecnico, l’idea del NYT di far testimoniare quei 1000 falciati dal virus non v’è dubbio che in parte ricalchi le emozioni legate al numero esorbitante di annunci funebri comparsi su tanti altri giornali (come L’«Eco di Bergamo», o i nostri due quotidiani) per le vittime della pandemia. Tuttavia se la redazione del NYT non avesse ideato quella prima pagina del giornale, cioè senza il supporto della stampa scritta, i «Mille» non avrebbero mai potuto avere la loro epigrafe trasformata in messaggio politico, lanciata poi come una freccia nel cuore e nelle menti di milioni di individui. Di conseguenza, portando quelle vittime sulla sua prima pagina il NYT dimostra che il più forte, efficace e valido risultato giornalistico è possibile solo con quella base di partenza. Non sto cercando di prolungare vita e nomea della carta stampata, dei giornali. Scacciando la nostalgia, arrivo a capire e ormai anche ad ammettere che nel giro di una generazione tutti i media saranno solo digitali, salvo forse settimanali e mensili di altissimo livello. Tuttavia non riesco a dimenticare un anonimo avvertimento: chi legge il giornale di carta a 80 anni avrà molta più memoria di chi a 30 privilegia l’informazione usa e getta. È latino chiaro: chi legge solo informazioni digitali senza sosta, può preventivare solo l’indigestione di notizie e non informazione o cultura. Forse è il caso di tener conto anche di questo pericolo nei cambiamenti.