Hotel Bellevue des Alpes

/ 23.07.2018
di Oliver Scharpf

La parete nord dell’Eiger, a lungo considerata inviolabile e le cui prime tre scalate sono finite in tragedia con otto morti, viene vinta alle tre e mezza del ventiquattro luglio 1938. Alla stessa ora, quasi esattamente ottanta anni dopo, la scalo con gli occhi seduto sul balcone della camera numero quaranta-tré dell’Hotel Bellevue des Alpes (2070 m). Iconico hotel d’altri tempi che dalla seconda metà dell’Ottocento svetta con classe spartana in posizione improbabile: ai piedi della tremenda e sublime parete nord dell’Eiger che una mezzoretta fa, vista dalla terrazza giù davanti all’entrata, era coperta da nubi. Mentre accanto accecanti di neve eterna, si vedevano bene il Mönch e la Jungfrau che assieme all’Eiger, formano la triade più ammirata delle Alpi. Non per niente alla stazione della Kleine Scheidegg, appena sceso dal trenino a cremagliera salito da Lauterbrunnen, ho dribblato mandrie di turisti in estasi.

Inaspettata quiete con vista ghiacciai, invece, sulla terrazza soleggiata dell’hotel a scandole rosso mattone e persiane verde menta che appare nella luna di miele dell’ultimo film diretto non senza la consueta grazia da Paul Thomas Anderson con il sempre validissimo Daniel Day-Lewis: Il filo nascosto (2017). Ben più di un’ora sono rimasto lì imbambolato, sorseg-giando due tazzoni di café crema. La giovane cameriera bionda con cami-cia bianca portava occhiali da sole a specchio non per vezzo, ma per via del riverbero provocato dal ghiacciaio della Jungfrau. Partendo dal nevaio d’attacco, individuo adesso alcuni dei punti cruciali della via Heckmair, dal nome di chi guidò la prima cordata vittoriosa. Il Bivacco della Morte, dove sono morti congelati i primi due che hanno tentato l’ascesa, la Traversata Hinterstoisser che prende il nome da Andreas Hinterstoisser (1914-1936), il Ragno Bianco su in alto, quasi in cima. E mi vengono di quelle vertigini che mi devo attaccare alla sediola sul balcone che guarda giù Grindelwald adagiato nella vallata.

Ora le nubi avvolgono di nuovo, in parte, questa parete sempre in ombra che terrorizza e attrae. «Mordwand» è stata ribattezzata a un certo punto la Nordwand dove sono morti finora più di sessanta alpinisti. Il wellness qui è una vasca da bagno d’epoca, di quelle con le zampe, restau-rata a dovere, dove resto a mollo non so per quanto. Fuori dal tempo, senza wifi finalmente, non resisto a mettermi sotto le coperte. Rintontito dalla carta da parati tessile meglio nota come toile de Jouy a tema mongolfiera, cullato da un frammento della vista da sogno che entra dalla finestra, mi addormento. La cena qui è servita dalle sette alle otto. Esclusiva la rassegna stampa vicino al camino d’entrata, solo «Neue Zürcher Zeitung», due copie. Ne prendo una e sprofondo in una delle sedie di velluto floreale del salone stile vittoriano ricreato negli anni venti. Qui si svolge la scena dove si decide chi guiderà la cordata in Assassinio sull’Eiger (1975) di e con Clint Eastwood. Una foto splendida, nel corridoio, lo ritrae durante le riprese nel 1974, mentre bacia teatralmente, nei pascoli qui attorno, una mucca. In un’altra, con il dolcevita, è in compagnia di Messner che era per caso qui in albergo.

In un’altra ancora è a braccetto con Heidi von Almen, l’anima a lungo di questo campo base di lusso dove hanno dormito tutti i protagonisti che hanno scritto una pagina della storia della parete nord dell’Eiger che è poi il capitolo più drammatico della storia dell’alpinismo moderno. A raccontarvi tutti i volti qui alle pareti e le storie legate, finiamo domani e va a finire che vado a letto senza cena. Ma non posso omettere Anderl Heckmair (1906-2005): «eroe dell’Eiger» beato in terrazza anni fa con a fianco Silvia von Almen – moglie del nipote di Heidi von Almen – che ha in braccio un bebé. La sesta generazione, rappresentata stasera in sala da Lena von Almen la cameriera di oggi pomeriggio è infatti la figlia dei proprietari: Andreas von Almen, architetto, e la moglie flautista della foto di prima. Senza occhiali da sole ma con cravattino nero. Rosa confetto le pareti del salone scelto per cenare che in realtà è il dancing dove si ballava il charleston. Rivive ogni capodanno quando tutto l’hotel è prenotato da ospiti inglesi di lunga data. A fianco del piano, da un finestra entra l’increspatura alla Caspar Wolf del ghiacciaio. Dopo cena contemplo il tramonto sulle montagne fino alle nove e ventuno. E colgo tre fiorellini rosa panna che salgono con me la scala sinuosa in legno scricchiolante fino al terzo piano. Persicaria bistorta, nel bicchiere al posto dello spazzolino, illuminata ora dall’abatjour sul comodino.

Prima dell’alba, annunciata laggiù da un filo arancio sulla sagoma nera delle montagne, metto fuori la testa dal balcone ed ecco là a destra, nel buio, un quadratino di luce: la famosa finestrella del tunnel nell’Eiger. Da lì cercarono invano di soccorrere Toni Kurz (1913-1936) a penzoloni per tutta la notte. Ogni tragedia, ogni impresa, a volte con il binocolo da teatro, è sempre stata seguita dall’Hotel Bellevue des Alpes. Dove vedere sorgere il sole sopra il Wetterhorn attorno alle sei verso metà luglio, è da non morire mai.