La necessità di ridurre i contatti, imposta dalla pandemia del coronavirus, ha rilanciato il lavoro a domicilio, oggi ribattezzato, come è giusto che sia in un’economia oramai terziarizzata, «home-office». Si tratta della possibilità di svolgere al proprio domicilio le mansioni di lavoro per eseguire le quali, di solito, ci si deve recare in ufficio, nel negozio, o in fabbrica. Ora c’è già chi afferma che la pandemia ha fatto scoprire una forma nuova di lavoro e prevede che l’home-office sia destinato a diventare il posto di lavoro del futuro. Andiamoci piano! Intanto osserviamo che il lavoro a domicilio esisteva già prima che la rivoluzione industriale facesse apparire la fabbrica come nuova possibilità di concentrare in un solo luogo la produzione. In secondo luogo aggiungiamo che il fenomeno dell’industrializzazione non fece mai scomparire il lavoro a domicilio anche se ne ridusse di molto la sua importanza. Per fare un solo esempio: all’uscita dal secondo conflitto mondiale erano ancora diverse centinaia le pantalonaie in Ticino che lavoravano a domicilio per aziende della Svizzera tedesca. Era questa una possibilità per molte donne delle nostre valli, celibi o sposate, di ottenere una modesta remunerazione senza dover spostarsi giornalmente, o addirittura emigrare, verso i centri di attività del piano.
Il lavoro a domicilio diventò poi «home-office» negli anni Novanta dello scorso secolo, grazie ai progressi dell’informatica. Con l’arrivo sul mercato dei PC – i cosiddetti «personal computer» – e con l’introduzione dell’internet, esistevano ora tutte le premesse per poter svolgere molte attività di lavoro a casa. Negli anni Novanta questa nuova possibilità venne considerata come l’uovo di Colombo per risolvere i problemi di circolazione dei grandi agglomerati urbani, diminuendo sia i costi creati dalle code, sia quelli dovuti alle immissioni del traffico pendolare. Dai numerosi studi di quel periodo risulta che se è vero che l’attività home-office presenta molti vantaggi, a livello della comunità, non sempre riesce a sostituire, in modo efficace, il lavoro svolto in ufficio, in negozio o in fabbrica. Di conseguenza il lavoro nell’home-office non soltanto non può essere esteso a tutte le categorie di lavoratori, ma, di più, non può applicarsi a tutte le attività che un lavoratore deve svolgere.
In generale si può affermare che lavorare a domicilio è tanto più facile quanto minori sono i contatti personali, necessari per svolgere la propria attività. Vi sono però intere categorie di lavoratori – si pensi a quelli della sanità, ai lavoratori del settore dei trasporti, ma anche a funzionari, avvocati e rappresentanti – per i quali il contatto con il cliente è indispensabile e che non possono quindi trincerarsi dietro i muri di casa. Gli autori degli studi sul lavoro a domicilio, versione digitale, concludevano affermando che, nella maggioranza dei casi, non sarebbe stato possibile sostituire il lavoro in ufficio, in negozio o in fabbrica, interamente con il lavoro a domicilio. La soluzione da cercare per i lavoratori, le loro aziende e la comunità sarebbe stata quella di trovare il miscuglio ideale tra attività da condurre sul posto di lavoro tradizionale e attività che potevano essere svolte a domicilio, in modo da ridurre gli spostamenti pendolari dei lavoratori, garantendo però il necessario numero di contatti personali, non solo con i clienti, ma anche con i colleghi di lavoro.
Con il coronavirus l’home-office sembra essere entrato in una nuova fase di sviluppo. In primo luogo per l’importante quota di lavoratori che, durante il periodo di isolamento, ha effettivamente cominciato a lavorare a casa. In secondo luogo per l’apparire di nuove difficoltà a svolgere la propria attività di lavoro a casa quando in casa ci sono bambini.
In effetti questo aspetto, vale a dire quello della divisione tra le necessità dell’attività lavorativa, i compiti casalinghi e quelli educativi non era stato finora esaminato negli studi sul lavoro a domicilio. Nelle inchieste e nelle analisi, che cominciano ora ad apparire, riguardanti il lavoro a casa nel periodo della pandemia, sembra invece che la presenza dei bambini costituisca l’ostacolo maggiore allo svolgimento regolare dell’attività di lavoro in casa. A lamentarsi sono soprattutto le donne che, tra l’altro temono, se lo home office dovesse continuare, di restare per sempre confinate in casa, anche quando il pericolo di contagio sarà terminato.