Da sempre, oltre a imponenti montagne innevate, incantevoli case antiche e fienili da sogno, della Bassa Engadina mi stregano le scoscese foreste di conifere a perdita d’occhio. Peccete più che altro, scure e riposanti. Dopo tre ore di cammino da Ramosch via Vnà, incontrando scoiattoli, cembri, larici, caprioli, penetro nel fitto di maestosi pecci che svettano tra metri di neve. L’ultimo sole rimane sulle cime delle montagne più alte, affretto un po’ il passo prima dell’imbrunire. In una radura, verso l’ora del tè, avvisto la chiesetta e lo chalet Mengelberg. Willem Mengelberg (1871-1951): grande direttore d’orchestra olandese che durante una passeggiata nel 1910 s’innamora di questo posto in culo ai lupi chiamato Zuort. Se dell’Hof Zuort, nascosto per ora alla vista dal bosco, come luogo di sosta si ha notizia dal 1482, il toponimo della radura è millenario e sembra risalire a suord: sordo in romancio vallader.
Un urogallo impagliato appeso al muro sopra una citazione incorniciata di Nietzsche sulla natura, e due palchi di cervo appoggiati fuori dalla stalla sul retro dell’Hof Zuort (1711 m), mi danno il benvenuto. Dentro, mi sorprendono due gufi imbalsamati mentre ghermiscono una donnola. Di fianco, un enorme orologio a cucù con cesellato un cervo che bramisce, cerva allattante un cerbiatto, foglie e bacche di pungitopo. Gasthaus discosta e al contempo dogana fino al 1920 – sulla via per il valico con il Tirolo –che emana un’atmosfera da covo di cacciatori, eremiti girovaghi, mahleriani incalliti, estimatori di Kaiserschmarrn. Specialità austriaca che non vedo l’ora di provare stasera per dessert, anche se già in testa da settimane per merenda. Intanto doccia calda, tazza di tiglio e sotto le coperte nella camera numero tre. La più bella, grande, e luminosa delle quattro camere di questo hotel remoto di proprietà dal 2010 – come lo chalet qui vicino dove si può anche pernottare e la chiesetta tutta in legno fatta costruire dal controverso direttore d’orchestra donnaiolo nato a Utrecht e morto qui a Zuort – di Peter Robert Berry IV. Quarto medico di St. Moritz con questo nome, nipote di Peter Robert Berry II, pittore amatoriale amico di Segantini e membro del Comitato per il Museo di Segantini.
La luce sulle montagne perdura più del previsto, il cielo resta misteriosamente chiaro anche se il resto si oscura, la vista della sedia di vimini a dondolo con coperta di pecora stile dacia è soporifera. Sarà dura alzarmi da questo letto belle époque bavarese sperduto in fondo alla Val Sinestra. Da qui, in estate, un sentiero raggiunge, in breve, l’ex sanatorio-hotel tipo castello fiabesco con tanto di fantasma, il cui proprietario-impresario di bus è curiosamente anche olandese. E come pure i gruppi similsettari di svarionati che lo frequentano, tra i quali uno, cinque anni fa, mi parlava di continuo del concerto dei Guns N’ Roses visto più di un ventennio prima ad Amsterdam. Nessun nesso profondo dunque, credo, tra gli olandesi dell’hotel Val Sinestra e il direttore per cinquant’anni dell’orchestra del Concertgebouw di Amsterdam, amico di Mahler e ineguagliato esecutore, pare, delle sue sinfonie. Mentre un’ulteriore analogia tra luoghi e persone – ben più forte della nazionalità – quasi un’assonanza tra spirito e paesaggio, ci sarebbe con Abbado. Altro grande direttore mahleriano, le cui ceneri riposano nel cimitero accanto una chiesuola della Val di Fex. Dopo pizokels e porcini, ecco i Kaiserschmarrn. Specie di nuvolosa frittata dolce imperiale, a pezzi, con uvetta dentro e cosparsa di zucchero a velo. Accanto, in simbiosi, salsa di mirtilli rossi e composta di mele. In compagnia di un gipeto di fronte, un camoscio di fianco, il signore elegante di un quadro, e una marmotta sulla mensola, una sera presto verso fine gennaio divoro questo prodigioso piatto da far resuscitare i morti. Il logo dell’Hof Zuort, sul bordo del piatto, è un palco caduco di cervo.
L’uomo e i suoi simboli (1964) avanza solo di una pagina o due, ma prima di sprofondare in un sonno primordiale, guardo ancora, mettendo fuori la testa dalla finestra, il cielo stellato come non mai. A colazione scopro la sala-veranda dipinta con paesaggi bucolici non alpestri: gondole, mulini, e passeggiatori antiquati. Con la chiave per la cappella Mengelberg in tasca, avanzo nella neve verso lo chalet Mengelberg voluto nel 1911 come residenza estiva e poi, quando è stato accusato di collaborazionismo e privato del passaporto, luogo d’esilio fino alla morte. La chiesetta stile Lapponia è alle sue spalle, più su, a ridosso del bosco. Cesellata da Clot Corradin (1891-1978) di Sent, dentro lascia a bocca aperta. La particolarità è un carillon con quindici campane, mentre nel legno si ritrovano simboli cristiani come il pellicano che si becca il petto. Sul fianco, fuori, una casetta per uccellini. Più in alto, noto una panchina. La raggiungo ricalcando le orme di qualcuno nella neve alta, e mi siedo quando il sole sorge dalle montagne facendo scintillare i brillantini della neve dura dove sono marchiate leggiadre le traiettorie dei caprioli. A parte la posizione privilegiata, non è una panchina come le altre, si vede che è vecchissima. Mezzo innevata, cosparsa di aghi di larice, le manca un pezzo di schienale. Il legno del bracciolo è consunto e ricamato dai licheni. Panchina senza orpelli, quasi perfetta, appartata in questa piega di mondo dove attutito dallo strato di ghiaccio, si sente appena, nell’aria tonica del mattino, il suono sordo del torrente Brancla.