Ho fatto il pieno di emozioni

/ 17.08.2023
di Bruno Gambarotta

Il Lingotto di Torino è una delle poche fabbriche di auto rimaste ancora in piedi. Inaugurata il 15 maggio 1923, ha festeggiato i primi cento anni di vita. Progettata dall’ingegner Giacomo Mattè Trucco, è un’opera rivoluzionaria.

Le automobili erano assemblate man mano salendo verso l’alto, lungo una spirale elicoidale. Sul tetto subivano il collaudo correndo sulla pista per poi scendere a terra dal lato opposto lungo una spirale simmetrica alla prima. Da anni la Fiat non esiste più, ha cambiato nome, è emigrata all’estero. Il Lingotto ospita ogni anno il Salone del Libro, sulla Bolla c’è la Pinacoteca Agnelli e in queste settimane è in corso una mostra intitolata Pista 500. Non potevo sottrarmi alla fascinazione che esercitano su di me quegli undici capolavori esposti all’aperto. Salito in ascensore fin sulla pista, per mettere piede oltre l’ingresso sono stato costretto a pestare un primo capolavoro. Si tratta di un nastro largo un metro di vernice rifrangente bianca e gialla steso a terra. L’autore Marco Giordano l’ha creata l’anno scorso, l’ha intitolata Loop Pool e l’ha fatta girare tutto intorno alla pista. Mal contati sono tre chilometri, da percorrere tutti se vogliamo leggere la poesia visiva che porta stampata una lettera qua e l’altra là, in inglese naturalmente. L’ho poi letta sul catalogo. Se state pensando a Leopardi siete fuori strada.

Inizio la visita da una scultura in bronzo dorata alta quasi cinque metri, l’artista Valie Export le ha dato un nome semplice da memorizzare Die Doppelgängerin. Avete indovinato, si tratta di due enormi forbici intrecciate dipinte in oro. Se missione dell’arte è suscitare i ricordi, qui l’obbiettivo è centrato in pieno. Contemplo l’opera e penso a mia nonna materna che, armata di forbici, inseguiva sull’aia il gallo per trasformarlo in cappone. Il catalogo della mostra propone un’altra lettura: «La forbice è anche una metafora onnicomprensiva delle molteplici identità che abitano i nostri corpi». Bravi: se spendi la «metafora» vai sul sicuro. Passiamo a The Guardians di Nina Beier. Su un’aiuola quadrata ricoperta di ciottoli cinque leoni di marmo sono sdraiati su un fianco, stufi di essere stati per millenni e per molte culture un simbolo del potere. Vogliono tornare nella foresta e riprendere il vecchio mestiere. L’opera trasmette un insegnamento: per liberarsi di un tiranno non è necessario ucciderlo, è sufficiente convincerlo a sdraiarsi su un fianco.

Un collettivo di artisti danesi si firma Superflex. Lavorando in gruppo per tre anni e senza una sosta per prendersi un caffè, hanno creato una enorme scritta in lettere maiuscole in alluminio. È in inglese ovviamente: «It Is Not The End Of The World» ovvero: «Questa non è la fine del mondo». Tu pensi: «Finalmente un’ondata di ottimismo contro i profeti di sventura». Errore: il catalogo ti spiega che la frase comunica l’esatto contrario, che il pianeta Terra continuerà a vivere anche quando l’ultimo esemplare della specie umana sarà scomparso. Cos’è l’arte? È pagare qualcuno perché ti suggerisca uno scenario apocalittico.

Un’opera di facile lettura è Monopoly Game: è una gigantesca fotografia a colori risalente agli anni ’80. Ritrae in un interno famigliare un gruppo di adulti, uomini e donne, intenti a giocare a Monopoly. Anche qui devi leggere il bugiardino della mostra per renderti conto che si tratta di un’opera d’arte. Perché in quel gruppo di giocatori in cui si trova anche l’artista Nan Goldin, nata nel 1953, è rappresentata tutta la comunità LGBTQ+. Forse il messaggio è libertario: per Monopoly siamo tutti eguali, il regolamento del gioco non fa discriminazioni.

La Pista 500 ospita anche due installazioni sonore, entrambe rivoluzionarie. La prima, intitolata Dead Time dell’inglese Cally Spooner, dura solo 45 minuti e 15 secondi. L’altra opera sonora è di un’artista americana, Louise Lawler, Birdcalls e dura 7 minuti e un secondo. Sono versi di 28 specie di uccelli, fatti da lei pronunciando i nomi di 28 celebri artisti, tutti maschi bianchi. Una vera goduria. Chiudo per ora con l’opera più impegnativa della mostra. Titolo Pistarama. È un murale più lungo del nome dell’artista, Dominique Gonzalez-Foerster: sono 150 metri spalmati sulla curva parabolica nord, un collage ispirato alla storia politico culturale di Torino: sono in tanti, però manca tutto il mondo Fiat, dagli Agnelli a Vittorio Valletta, a Ghidella, a Cesare Romiti. Forse per una forma di pudore. Ho fatto il pieno di emozioni. Riprendo l’ascensore, tornerò un’altra volta per completare la visita.