Grandi scrittori, ma caratteracci

/ 24.08.2020
di Luciana Caglio

Anche i mostri sacri della letteratura mondiale non sono più degli intoccabili. Non li ha risparmiati l’ondata del revisionismo storico che va di moda e mobilita i biografi controcorrente, impegnati in un’operazione dissacratoria. Non potendo, ovviamente, demolire opere immortali, prendono di mira lo scrittore come persona, osservandone i comportamenti quotidiani attraverso la lente della psicologia e del pensiero attuali. Vittima illustre, persino simbolica, di questa tendenza critica, Charles Dickens. In una recente ricerca, The Mistery of Charles Dickens (Atlantic Books), il giornalista inglese Andrew Norman Wilson rivisita la figura di un autore, considerato il difensore delle giuste cause per antonomasia. Il Dickens buonista, insomma, schierato dalla parte dei bambini maltrattati, delle prostitute da redimere, degli operai sfruttati. Cioè, miserie e ingiustizie della Londra vittoriana, che lui esplorava negli angoli più reconditi. A quest’immagine edificante Wilson contrappone quella di un uomo avido di successo e di soldi che mortificava moglie, figli e colleghi. Un caratteraccio, per dirla tutta.

La stessa sorte è spettata a Dostojevski. Lo propone sotto una luce impietosa il critico franco-rumeno Virgil Tanase, nella biografia, pubblicata da Gallimard. Pure qui, un mostro sacro siede sul banco degli imputati, accusato d’ipocrisia. Se nelle sue pagine lancia messaggi morali d’impronta religiosa, in realtà, secondo Tanase, i protagonisti dei suoi romanzi, violenti. psichicamente labili, dediti all’alcol e al gioco d’azzardo, rispecchiano gli stessi vizi e fragilità dell’autore.

Al novero dei grandi scrittori-caratteri impossibili, appartiene a pieno titolo Thomas Mann, di cui Thilmann Lahme, storico e divulgatore tedesco, aveva raccontato virtù pubbliche e vizi privati nella saga familiare Die Manns, successo editoriale di qualche anno fa. Gli esempi, del resto, si sprecano, anche vicino a noi. Persino Herman Hesse, diventato oggetto di culto popolare postumo, non era facile da avvicinare, protetto da una moglie sentinella. Così ricordava mio padre che riuscì, tuttavia, a intervistarlo.

Partendo dal caso Hesse, si tocca un aspetto particolare del rapporto lettore-autore. Quando, appunto, dall’ammirazione a distanza si passa al desiderio d’incontrare la persona in carne e ossa. O, per lo meno, i luoghi in cui visse o fece vivere le sue storie, diventati mete di un turismo ad hoc. Come Rochester, nel Kent, tanto amata da Dickens. Come Amherst, Massachusetts, dove Emily Dickinson visse una volontaria segregazione, e attira fan provenienti anche dal Ticino. Come la Sicilia, descritta e inventata da Andrea Camilleri, dove sulle tracce di Moltalbano si muovono lettori che arrivano persino da oltre Oceano. Si tratta di un fenomeno che negli ultimi decenni ha assunto nuovi connotati: da pellegrinaggio individuale è diventato collettivo, organizzandosi in gruppi e club di fan all’insegna dell’autore del cuore e, non da ultimo, della moda del momento. È un tifo librario più che letterario, al quale i critici ufficiali guardano con sospetto. Ma funziona, sfruttando il bisogno primario di trovare nelle pagine la presenza di un amico, una necessità più che mai evidente durante il lockdown.

Che poi, nel suo vissuto reale quest’amico sia una persona inaffidabile, come dimostrano le zelanti ricerche dei revisionisti, è in parte vero. Sottovaluta, però, il fatto che il proverbiale abbinamento genio e sregolatezza ci procura insostituibili momenti di svago, riflessione, conforto. Nei cui confronti abbiamo un impagabile debito di gratitudine. Passa quindi in seconda linea la personalità reale dello scrittore uomo che, magari, potrebbe essere un caratteraccio, un tipo da evitare, come raccomandava un vecchio direttore del «Corriere del Ticino»: «Leggetelo ma non frequentatelo». Ne feci tanti anni fa un’esperienza mortificante tentando d’intervistare Ignazio Silone, di cui ero una fedele lettrice. L’incontro fu un flop. Lo scrittore immusonito, anzi infastidito, non rispondeva alle domande. Un caso che, per carità, non deve indurre ad affrettate generalizzazioni. Piuttosto a rispettare la privacy dell’autore e continuare ad apprezzarlo per quel che fa e ci regala.