Gli orrori della guerra e il timore di «perdere» la Russia

/ 25.04.2022
di Aldo Cazzullo

Non vorrei che l’aggressione all’Ucraina abbia creato una sorta di assuefazione. La solidarietà nei confronti di Zelensky e del suo popolo vacilla man mano che la guerra si protrae e l’Occidente paga il proprio conto, in termini di aumento dei prezzi e danni ai produttori derivanti dalle sanzioni. Per quanto la condanna di Putin sia quasi unanime (non in Cina, in Africa, in Sud America), prevale il timore di «perdere» la Russia. Il che in effetti rappresenta un problema. La Russia è di gran lunga il Paese più vasto del mondo, con i suoi 17 milioni di chilometri quadrati (Canada, Cina e Usa non arrivano a 10). Ha il secondo arsenale nucleare e immense fonti di materie prime. Ha una grande storia letteraria, artistica, musicale. È insomma un Paese importante sulla scena internazionale. Qualcuno rimprovera agli Usa di aver trattato la Russia come la potenza che ha perso la guerra fredda. In effetti la Russia è la potenza che ha perso la guerra fredda. La storia però insegna che il vincitore lungimirante tratta il vinto con generosità, per attrarlo nella propria sfera di influenza. È accaduto alla Germania, al Giappone e all’Italia dopo la Seconda guerra mondiale.

La Russia ha avuto una grande occasione di entrare a far parte dell’Occidente, dell’alleanza delle democrazie. Il G7 era diventato il G8 proprio per farle posto. Si tenevano in Russia elezioni sulla cui correttezza era lecito dubitare, ma che più o meno rispecchiavano il volere della popolazione. Poi la gelata putiniana – guerre, eliminazione fisica o incarcerazione degli oppositori, soppressione della libera stampa, stravolgimento della Costituzione ecc. – ha portato la Russia prima fuori e poi contro l’Occidente. Non siamo stati noi occidentali, con tutti i nostri orribili difetti. È stato Putin. Quello in Ucraina è un conflitto difficile da decifrare. Le guerre non sono tutte uguali. Nell’Antico regime non si combattevano i popoli e neppure gli Stati, ma le dinastie, spesso imparentate tra loro. Solo con la Rivoluzione francese la guerra diventa un fatto di popolo e di ideologia. I nemici della Rivoluzione francese difendevano la propria identità e i propri privilegi; i rivoluzionari non ebbero nessuna pietà nell’affermare la propria fede e i propri valori. In Vandea si comportarono con i controrivoluzionari in modo non dissimile da quello con cui i crociati avevano sterminato gli albigesi, poco meno di 6 secoli prima. La Prima guerra mondiale conobbe atrocità mai viste: fu una guerra industriale, da milioni di morti, in cui fu usato anche il gas. Ma la Seconda guerra mondiale ebbe una carica ideologica che la prima non aveva conosciuto, da cui derivarono stragi indiscriminate tra la popolazione civile a opera delle SS tedesche e dei loro collaboratori.

La storia non si ripete mai due volte, il passato non torna e la guerra è sempre orribile. Però di recente si sono viste in Ucraina scene di crudeltà che richiamano le guerre nell’ex Jugoslavia e che non hanno nulla di eroico, nulla di cavalleresco, hanno molto di criminale. Qualcuno ha paragonato la guerra di Putin alla guerra della Nato nei Balcani. Ma nel 1999 la Nato non portò la guerra in Kosovo; la fece cessare. La guerra c’era già: i serbi stavano massacrando e deportando i kosovari. I bombardamenti su Belgrado fecero giustamente discutere, turbarono molto gli europei. Fatto sta che Slobodan Milosevic, il leader postcomunista e nazionalista serbo, cedette, e i kosovari poterono avere la loro vita e il loro Stato. Da notare che al governo nei grandi Paesi europei c’era la sinistra: Tony Blair a Londra, Lionel Jospin a Parigi, Gerhard Schroeder a Berlino, Massimo D’Alema a Roma; mentre a Washington c’era il democratico Bill Clinton. Alcuni tra questi leader seguirono la loro cultura; altri fecero violenza alla propria cultura d’origine, anche per legittimarsi sulla scena internazionale. Il quadro in Ucraina è diverso. Putin ha scatenato una guerra senza quartiere dove da anni era in corso una guerriglia nella regione contesa del Donbass, trasformata dai russi in un conflitto su larga scala, che è arrivato nella capitale Kiev e sino ai confini occidentali del Paese, vicino all’Ue, al territorio della Nato. Per questo aiutare l’Ucraina non significa alimentare la guerra, ma costringere Putin al cessate il fuoco, a trattare, a trovare un compromesso, a porre termine all’aggressione. Perché l’unico linguaggio che il satrapo di Mosca capisce è quello della forza.