L’undici novembre scorso Steven Pinker è stato a Zurigo per presentare il suo ultimo saggio che negli Stati Uniti e in Inghilterra ha già fatto molto discutere. Enlightment is now è il titolo e fa riflettere su molte questioni care allo psicologo e neuroscienziato di Harvard secondo il quale non siamo mai stati bene come oggi, e a dircelo non è la fede o una strana convinzione ma fior fior di studi e di statistiche. Come ha raccontato durante il suo intervento alla TED Conference di aprile, se paragoniamo i più recenti dati con quelli di trent’anni fa, ci rendiamo conto di quanta verità risieda nelle parole pronunciate oltre mezzo secolo fa dal giornalista Franklyn Pierce Adams: «Nulla è così responsabile dei bei giorni andati come la cattiva memoria». I dati dicono che nel 2017 negli Stati Uniti il tasso di omicidi era del 5,3% ogni centomila abitanti, il 7% della popolazione versava in povertà e 21 milioni di tonnellate di polveri sottili sono state immesse nell’aria. Nel 1998 invece il tasso di omicidi era dell’8,5% ogni centomila abitanti, il 12% viveva in povertà e le polveri sottili immesse nell’aria arrivavano a 35 milioni di tonnellate. Senza contare che c’erano più guerre, più dittature, armi nucleari e morti.
Per Steven Pinker, questi e altri, sono segni inequivocabili di come il mondo stia migliorando e di come oggi vi sia maggiore benessere. Ma allora perché questo pessimismo dilagante nelle narrazioni dei media e degli intellettuali?
Secondo quanto Steven Pinker ha rivelato in un’intervista alla «Neue Zürcher Zeitung» i media da tempo sono rei di offrirci una visione distorta della realtà raccontandoci il più delle volte di un mondo là fuori che versa in una valle di lacrime. Chi si preoccupa di scrivere di tutte quelle persone che grazie al progresso vivono più a lungo? Chi racconta di tutti quei conflitti che si sono potuti evitare grazie al lavoro di istituzioni impegnate per la pace? La verità è che le società occidentali sono più ricche rispetto al passato e le persone più felici. Ma hanno paura di perdere quello che hanno conquistato e dunque tendono a concentrarsi sui pericoli piuttosto che sulle opportunità in gioco. E per quanto riguarda il pessimismo imperante di giornalisti, critici e intellettuali, il neuroscienziato di Harvard dice che è dovuto al loro odio per il progresso. Non ne odiano i frutti, di cui godono e approfittano volentieri, ma l’idea stessa di progresso.
E qui Pinker chiama nuovamente in causa i numeri e le statistiche per dire che il progresso non è una questione di fede ma è un evento inconfutabile della storia umana. Ora, con Steven Pinker e le sue tesi si può essere in accordo o in disaccordo, ma è innegabile che una voce fuori dal coro come la sua induca a riflettere. Soprattutto se si unisce ad altre voci fuori dal coro che si distanziano dal discorso mainstream globale e prendono pubblicamente posizioni differenti su temi come la religione, la differenza biologica tra uomo e donna, la libertà di parola, la politica dell’identità, le nuove tecnologie e altre questioni attuali che investono l’individuo, la società, l’economia e la politica.
Steven Pinker insieme ad altre personalità controcorrente del nostro tempo fa parte di un gruppo che si riunisce su una piattaforma online chiamata «Intellectual Dark Web». Si tratta di un network di pensatori di diverso orientamento politico confinati ai margini del discorso e dei canali mainstream per il loro pensiero anticonformista. Mattia Ferraresi su «il Foglio» li ha definiti «una specie di carboneria digitale che cospira, senza un piano preciso, contro il mainstream ideologico». Il «New York Times» in una recente copertina li ha definiti «i Renegades del Dark Web» e «un’alleanza di eretici» che dovremmo chiederci se vale la pena stare a sentire. In molto già lo fanno sul Web dove gli intellettuali oscuri si muovono abilmente da tempo attraverso Youtube, i social media e il loro sito di riferimento. Vi garantisco che vale la pena dare un’occhiata: intellectualdark.website.