Gli effetti della pandemia

/ 08.06.2020
di Aldo Cazzullo

Chi sarà avvantaggiato dall’esplosione della rabbia popolare negli Stati Uniti?
Edward Luttwak in tv sostiene che i neri in rivolta stanno preparando la rielezione di Donald Trump, e anzi altri quattro anni di Ivanka, la figlia, che sarebbe la prima donna a essere eletta alla Casa Bianca.
Sinceramente, non la penso come lui. Da sempre sono convinto che Trump non sarà rieletto. Anche quando i sondaggi lo davano al top, ho sempre pensato che avrebbe perso. Così come, anche quando era staccato alle primarie sia da Bernie Sanders sia da Pete Buttigieg, ho sempre creduto che il candidato democratico sarebbe stato Joe Biden.

Ovviamente, posso sbagliarmi. Ora i sondaggi danno otto punti avanti Biden in Stati-chiave che nel 2016 erano stati vinti da Trump: Ohio, Florida, Arizona. Ma i sondaggi possono ancora cambiare. La mia convinzione nasceva da un fatto: la vittoria di Trump è stata frutto di una congiunzione astrale irripetibile. Andarono a destra tutti gli Stati in bilico, compresi quelli – come il Wisconsin e lo stesso Michigan – che in bilico non erano neppure considerati. Fu una sorta di miracolo; e i miracoli non si ripetono quasi mai due volte. A questo va aggiunto il fatto che Hillary Clinton non era una candidata forte.

A dire il vero, non lo è neppure Joe Biden. Probabilmente ha quattro anni di ritardo: nel 2016 avrebbe vinto; stavolta rischia di arrivare con il fiato corto. A gennaio Trump era considerato in vantaggio, a causa del boom della Borsa e del buon andamento dell’economia. Poi tutto è crollato con il Coronavirus.
Gli Stati Uniti hanno già speso, per sostenere la domanda e l’occupazione, tremila miliardi e mezzo di dollari: più di quello che Obama spese in quattro anni per uscire dalla grande crisi del 2008. Eppure il numero dei disoccupati continua a crescere: siamo a quaranta milioni.

Anche questo spiega le rivolte di questi giorni. Certo, il brutale omicidio di George Floyd ha acceso la miccia. Ma all’evidenza il fuoco covava già sotto la cenere. Gli afroamericani sono stati i più colpiti dalla pandemia, e i più colpiti dalla recessione. I primi ad ammalarsi, i primi a perdere il lavoro. La loro rabbia è esplosa anche per questo motivo.

Il resto l’ha fatto Trump. Che ha soffiato sul fuoco. Ha fatto sgomberare un quartiere di Washington con i lacrimogeni per farsi fare una foto con la Bibbia in mano. Ha minacciato di usare l’esercito, provocando la reazione polemica del capo del Pentagono. Ha fatto insomma Trump. Si è mosso per dividere. Non ha fatto nulla per unire il Paese; ha anzi rinfocolato gli scontri. Secondo Luttwak ha fatto bene. Personalmente credo che abbia sbagliato. Le straordinarie immagini degli agenti che si inginocchiano davanti ai manifestanti hanno emozionato l’America. Se gli scontri si fermeranno, sarà meglio per tutti. Trump avrebbe una chance di riprendersi la scena se invece la protesta continuerà in forma violenta.

Ma la pandemia non ha scatenato solo la rivolta dei neri. Ha rinfocolato anche lo scontro con la Cina. Fin dall’inizio la presidenza Trump è stata improntata a un rapporto fortemente critico e competitivo con il colosso cinese; il «virus di Wuhan» – come lo chiama lui –, che ha vanificato tre anni di forte crescita economica, ha ovviamente inasprito l’atteggiamento del presidente. Ma la linea di Trump, per quanto eccessiva come il personaggio, non è nata nello spazio di un mattino. In realtà, tutta la politica asiatica degli Stati Uniti negli ultimi settant’anni si può leggere come una serie di contromosse dopo lo smacco (se non l’errore) di aver perduto la Cina.

Dopo il Secondo conflitto mondiale, l’America non poteva combattere una nuova guerra per fermare il comunismo in Cina. Il 1948 fu un anno elettorale: il presidente Truman fece una campagna straordinaria e vinse in rimonta; ma certo non poteva aprire un altro fronte. Fatto sta che nell’aprile 1949 Mao entrava a Nanchino e a fine anno l’uomo degli americani, Chang-Kai-shek, con l’aiuto della settima flotta Usa riparava a Taiwan. Gli americani hanno combattuto due guerre, in Corea e in Vietnam, per non cedere altro terreno ai rossi. Salvarono la Corea del Sud. Abbandonarono il Vietnam anche perché nel frattempo Nixon aveva fatto la pace con la Cina, allargando la spaccatura nel blocco comunista, il che non rendeva più necessario sostenere un conflitto così dispendioso.

Da allora la Russia, pur restando un Paese importante, ha perso la sua dimensione imperiale. E la Cina (nominalmente comunista) è diventata concorrenziale con gli Usa prima sul piano industriale, poi su quello digitale. Il lungo confronto che segnerà le nostre vite è appena cominciato; e la pandemia non ne rappresenta che un episodio. Da cui alla lunga la Cina uscirà rafforzata; anche perché l’America di Trump sembra rinunciare al suo tradizionale ruolo di leadership in Occidente. Forse anche questo aspetto può essergli fatale. Gli operai dell’Ohio o del Michigan non voteranno certo sulla politica estera, ad esempio sull’abbandono dei curdi; voteranno sull’economia. Ma abbandonare i curdi, ritirarsi ingloriosamente dall’Afghanistan, mettersi contro l’Europa, alla lunga potranno rivelarsi errori.