Giovani e politica: distanze ravvicinate

/ 30.05.2022
di Luciana Caglio

I più assidui alle urne sono adulti maturi e anziani, terza e quarta età comprese. Lo confermano le statistiche che, del resto, rispecchiano l’anagrafe attuale attribuendo, proprio al Ticino, la qualifica di «paese per vecchi», parafrasando il titolo di un film famoso, che si svolgeva in Texas. Ora, se i dati numerici sono inoppugnabili, non raccontano però la realtà vera del nostro vissuto quotidiano dove la categoria «giovani», cioè bambini, ragazzini, adolescenti, ventenni occupa un posto sempre più rilevante. Tanto da creare effetti collaterali quali il giovanilismo. Come dire, imitare comportamenti ispirati al modello delle nuove generazioni, promosse a locomotive del costume. Jeans e sneaker ne sono i simboli più visibili. Ma anche gli svaghi, la cultura e persino il linguaggio si adeguano esponendo gli imitatori al rischio del ridicolo.

È questione di moda, l’insinuante dittatura del momento, di cui adolescenti e giovani sono i protagonisti consumatori in prima linea. Da qui, però, conseguenze sul piano educativo e psicologico che, a loro volta rendono gli adolescenti sia protagonisti sia vittime di eccessi e abusi.

In questo quadro di una realtà sociale, economica, culturale all’insegna di un dominio giovanile, almeno appartente, manca tuttavia un aspetto che, giustamente, preoccupa e cui si cerca di rimediare: concerne il rapporto con la politica. E la parola sottintende la conoscenza delle regole e dei meccanismi che la fanno funzionare: cioè la civica. In Ticino la parola si ricollega a un dibattito, avviato cinque anni fa, da un gruppo di promotori che, in termini perentori, esigeva uno spazio destinato alla civica a sé stante non più associato all’insegnamento della storia. Fatto sta che, con propositi ideologici diversi, la causa della civica è tornata d’attualità. Due settimane fa gli allievi del quarto anno delle scuole medie ticinesi hanno affrontato la «Prova cantonale di educazione civica, alla cittadinanza e alla democrazia», decisa dal Decs. Il tema era, del resto, già nell’aria. Oltre Gottardo in varie città e cantoni gli elettori erano stati chiamati a esprimersi sul voto ai sedicenni, peraltro respinto.

Rappresenta, però, un indizio da non sottovalutare. Non a caso, mentre, gli eventi mondiali tornano a dimostrare l’insostituibilità della democrazia, la Svizzera si mobilita per ridare ossigeno a un sistema politico anchilosato dall’abitudine, dato insomma per scontato. La partecipazione ai tanti, forse troppi, appuntamenti con le urne è in calo. Un 40% di votanti è già considerato un buon risultato. E, ovviamente, si punta sui giovani, gli svizzeri di domani. Si riapre così l’interrogativo: quando l’adolescente dev’essere considerato cittadino? Quando lui stesso ne avverte il bisogno e la responsabilità? Quali sono i limiti ragionevoli di un’età che, in tempi non lontani, si definiva «ingrata»? E nel nostro dialetto si chiamava, sia pure amabilmente, quella della «stüpidera».

Al di là di queste divagazioni folcloristiche oggi più che mai agli adolescenti spetta un ruolo vitale in un paese a bassa natalità, che ripone le speranze in una generazione sin qui protetta dal benessere e dall’accondiscendenza dei «grandi». L’unico impegno, in ambito politico collettivo, si limitava sin qui al pomeriggio dell’ultimo venerdì del mese per la protesta ambientalista. Adesso da loro ci si aspetta di più. Che si mettano in gioco per uscire dal limbo di un’infanzia prolungata.

Il problema, d’altronde, è di portata mondiale, più caldo evidentemente nei paesi benestanti e, in particolare, nel Regno Unito e negli USA. La dice lunga, in proposito, un libro dal titolo già provocatorio: The creation of youth culture, nella traduzione italiana pubblicata da Feltrinelli nel 2012 L’invenzione dei giovani. L’autore, Jon Savage, denunciava le derive del culto dell’adolescente a vita, un hippy o uno yuppie e via enumerando le definizioni affibbiate a una generazione per così dire immobile, sempre immatura. Con conseguenze persino tragiche: il culto dei giovani ha fornito la materia prima al nazismo e fascismo, arruolati inconsapevolmente nei ranghi delle camicie brune e nere. Ma per concludere più serenamente le sue osservazioni Jon Savage cita il mito di Peter Pan.