Giornalisti, parlateci della questione climatica

/ 28.02.2022
di Natascha Fioretti

Incontrai Wolfgang Blau nel 2010 a Vienna a una conferenza dal titolo Giornalismo 2020: come mantenere la professionalità e riconquistare la credibilità in cui l’allora direttore di «Zeit online» dibatteva del futuro del giornalismo con un altro grande, Alan Rusbridger, allora direttore del «Guardian». Scrissi un pezzo titolandolo Zeit e Guardian, due esempi per sperare e avevo visto giusto dato che oltre un decennio dopo tra le testate europee sono quelle che più di altre hanno saputo interpretare i tempi, investire parimenti nel giornalismo di qualità e nelle innovazioni digitali coltivando i propri lettori e il dialogo con loro. Anche se con due modelli di business completamente differenti, a pagamento il primo, gratuito il secondo (parliamo dell’online), le due testate godono oggi di ottima salute. Da allora Wolfgang Blau ne ha fatta di strada, prima al «Guardian» come responsabile della strategia digitale, poi nel gruppo editoriale Condé Nast International. Oggi invece lo ritroviamo a Oxford dove con il Reuters Institute for the Study of Journalism ha cofondato l’Oxford Climate Journalism Network che tra gli altri vanta la collaborazione di cento giornalisti provenienti da oltre 60 paesi. L’idea alla base di questa rete dedicata alla questione climatica è quella di aiutare giornalisti e redattori a migliorare la loro narrazione del cambiamento climatico. Tutto questo partendo dall’assunto che nell’affollato panorama informativo odierno i media continuano a giocare un ruolo importante nel plasmare il modo in cui comprendiamo e agiamo sul cambiamento climatico.

Sul tema Wolfgang Blau di recente ha tenuto una conferenza al Green Templeton College di Oxford affermando che quella del cambiamento climatico e della sua corretta e approfondita narrazione sui media è oggi la più grande sfida per il giornalismo. Intanto la prima sfida si gioca sul linguaggio e i termini che usiamo. Non a caso il «Guardian» e l’«Observer» hanno elaborato e condiviso una guida online sulla terminologia corretta da usare. Blau, ad esempio, parla di cambiamento o di questione climatica e non di crisi perché gli effetti e le conseguenze del problema, anche se con le nostre politiche ambientali corressimo ai ripari già oggi, sono a lungo termine. Sta di fatto che tutte le redazioni e i loro diversi settori dovrebbero fare della questione climatica la loro priorità, dunque se ne dovrebbe parlare regolarmente tanto nelle pagine di politica e ambiente tanto in quelle di economia, cultura e società. Chi fa giornalismo dovrebbe rendersi conto che in particolare tra i più giovani c’è grande interesse e attenzione per la questione. A dirlo è uno studio internazionale pubblicato sulla rivista «Nature» condotto da ricercatori di sette università e college che ha intervistato più di 10’000 giovani in dieci paesi per misurare l’ansia data dalla questione climatica. Alla domanda «quanto sei preoccupato per il cambiamento climatico?» il 59% ha detto di essere «molto preoccupato» o «estremamente preoccupato».

Mettiamoci nei loro panni, pensiamo alle testate sulle quali di solito ci informiamo e chiediamoci se stanno dando alla questione climatica la giusta attenzione. Non solo, un altro dato preoccupante che emerge questa volta dallo studio European Moments del professore Timothy Garton Ash, ci rivela che il 53% dei giovani europei del Regno Unito tra i 16 e i 29 anni si dice d’accordo con l’idea che gli Stati autoritari siano meglio attrezzati delle democrazie per affrontare la crisi climatica. Un risultato che dovrebbe preoccupare chiunque fa informazione con l’idea di formare l’opinione pubblica. Blau intanto invita i giornalisti a prepararsi per i grandi appuntamenti che caratterizzeranno il 2022 a partire dalla pubblicazione del sesto rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico.

Senza dimenticare le elezioni americane di midterm il prossimo autunno, visto che gli Stati Uniti sono i più grandi emettitori di gas serra per tonnellate l’anno dopo la Cina, segnando oltretutto un aumento del 6 per cento nel 2021. Non sorprendono dunque Biden quando dice che «il cambiamento climatico è ora il problema numero uno dell’umanità» o il World Economic Forum che tra i maggiori rischi per il mercato macroeconomico al primo posto elenca il fallimento dell’azione per il clima.