Gioco anch’io? No, tu no!

/ 14.03.2022
di Giancarlo Dionisio

È una guerra complessa, di non facile comprensione, quella di cui siamo spettatori impotenti. Tuttavia, in un afflato di solidarietà, la stragrande maggioranza delle persone si è schierata dalla parte degli aggrediti. Così ha fatto anche il mondo dello sport. Non si è interrogato sull’eventuale condivisione di responsabilità. Si è mosso con rapidità strabiliante. Dopo poche ore dall’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, sono scattate le prime sanzioni, fra cui lo spostamento della finale di Champions League da San Pietroburgo a Parigi. Dopo pochi giorni, lo sport russo, nella sua quasi totalità, si è visto messo da parte. Bloccato. Depotenziato. Al di là di comprensibili ragioni di sicurezza, ci si può interrogare sui motivi di questa corale presa di posizione. Quali sarebbero le responsabilità e le colpe degli atleti russi?

Le sanzioni economico-commerciali sono uno strumento di pressione. Purtroppo la storia insegna che a farne le spese è spesso la gente comune, le famiglie, all’interno delle quali, donne, bambini e anziani sono i più fragilizzati.

In questi tempi si sta male in Ucraina, dove i negozi di generi alimentari piangono, e dove si è confrontati con un’emigrazione di massa, non certo verso l’Eldorado. Ma si sta male anche in Russia, dove la qualità della vita sta precipitando e dove le voci del dissenso – che provengano dalla piazza o dai media – vengono brutalmente zittite.

Le misure prese dalle grandi federazioni sportive internazionali, così come quelle adottate da singoli club, vedi lo Jokerit di Helsinki che ha deciso di ritirarsi dalla KLM poiché comprende squadre russe, vanno a colpire il narcisismo dei capi di Stato. Non credo infatti che attualmente tra le priorità della popolazione russa ci sia quella di vedere i suoi atleti evolvere su palcoscenici internazionali. Ma non credo neppure che le sanzioni possano indurre Vladimir Putin a tornare sui suoi passi.

Per la Russia si tratta del secondo fragoroso schiaffo in pochi anni, dopo quello incassato per lo scandalo doping messo a nudo ai Giochi Olimpici di Sochi del 2014. È una sberla ancora più dolorosa poiché taglia fuori quasi del tutto gli atleti e le atlete di questa storica potenza, erede di quella sovietica. Nei giorni scorsi c’è stato spazio anche per le negoziazioni, alla ricerca di un’intesa per un eventuale cessate il fuoco. Ma sul fronte russo-ucraino si continua a combattere. Per il momento non si intravedono i contorni di un’auspicata fine delle operazioni belliche.

Di Putin tutto si può dire, ma non che non sia cinicamente astuto. Tra il 2007 e il 2014, una volta ottenuta l’organizzazione dei Giochi Olimpici, il Governo guidato dal gerarca nativo di San Pietroburgo aveva sgobbato affinché il mondo potesse ammirare l’edizione più sontuosa e magniloquente della storia. In realtà si è trattato di quella più militarizzata, più costosa e meno sostenibile dal punto di vista ambientale. In quegli anni il fronte russo-ucraino si stava aprendo. L’annessione della Crimea partì in sordina durante i Giochi, ma divenne palese dopo che la fiamma olimpica fu spenta. I buonisti sostennero che Putin aveva voluto rispettare la tregua olimpica. Mah, ho qualche perplessità. Pochi giorni dopo si ripartiva con i Giochi Paralimpici, che forse il leader del Cremlino reputava entità trascurabile. Tra l’altro anche quest’anno tocca alle Paralimpiadi fare da sottofondo alla guerra. Con o senza atleti russi, avranno purtroppo ancora meno risalto mediatico.

La Russia pagò comunque la sua smania di strafare. Lo scandalo doping si abbatté su di lei come un’inarrestabile valanga. È una macchia che rimane e che ancora oggi, e fino alla fine del 2022, costringe i suoi atleti a gareggiare sotto le insegne del Comitato Olimpico Russo, senza bandiera e senza inno. Le attuali sanzioni avranno invece una durata condizionata. Se giungessero rassicuranti segnali di distensione e di pace potrebbero rientrare con la stessa rapidità con la quale sono state sancite. Il calendario sportivo ne uscirebbe ulteriormente stravolto. Ma vuoi mettere che gioia! Poi non dimentichiamo che oltre due anni di pandemia hanno forgiato il nostro senso di flessibilità e di improvvisazione. Sono certo che tutti saremmo disposti a rivedere i nostri schemi mentali e le nostre certezze. Me lo auguro.