Come ogni inizio, anche il primo giorno di scuola ha una sua particolare valenza simbolica. Tra i vari significati rituali di questo giorno c’è anche una percezione del futuro come tempo della crescita, dello sbocciare, del fiorire. Questo giorno, sempre speciale, si offre come un luogo simbolico da cui incamminarsi oltre, verso nuovi approdi: desiderati e progettati, o anche solo immaginati e sperati.
Sono atmosfere che evocano l’idea del futuro come progresso, un’idea centrale nel pensiero moderno che culmina nello spirito dell’illuminismo. La modernità ha raccontato in tanti modi il desiderio di un’umanità migliore, e l’impegno necessario per realizzarla, tanto nell’espressione individuale quanto nella società. Dall’identificazione del bene con la maggior felicità per il maggior numero di persone di Jeremy Bentham, al coraggio di pensare con la propria testa per essere liberi di Immanuel Kant, il pensiero moderno è un ampio progetto multiforme che vede nel futuro un progresso, una meta da costruire tutti insieme.
Questa visione di un tempo progressivo, ben radicata nella nostra cultura, può essere percepita anche nel nostro personale sentimento del vivere. Come ricordano le celebri parole di sant’Agostino, è il «presente del futuro». Questo futuro che abita il nostro presente, che risuona in noi, qui e adesso, può continuare ad offrirsi come il tempo dell’attesa, della fiducia e della speranza in un domani pensato come migliore. Oggi tuttavia siamo abitati anche da un sentimento meno luminoso del nostro tempo del vivere. Spesso non riusciamo più ad accogliere un futuro che sappia suggerire al nostro animo la possibilità di andare oltre, verso nuove fioriture possibili.
E ciò perché un’altra percezione del presente ci accompagna nelle nostre giornate, con tonalità ed emozioni molto diverse. Spesso percepiamo «il presente del futuro» come una minaccia; spesso la speranza assume lo stesso significato di quell’unica cosa che era rimasta sul fondo del vaso di Pandora, da lei sciaguratamente aperto, lasciando così uscire tutti i mali del mondo. Questa speranza rimasta sul fondo del vaso è «timore del futuro», così infatti la definisce Esiodo nel suo racconto.
Come nel mito, anche oggi, sempre più spesso la speranza assume il volto del timore per un futuro sempre più minacciato da scelte altrettanto sciagurate di quelle di Pandora. Quel «timore del futuro», unico sentimento trattenuto sul fondo del vaso, sta prendendo sempre più spazio tra di noi; anche nel nostro più intimo vissuto diamo accoglienza a un tempo opaco e minaccioso. Lo percepiscono pure i giovani questo tempo opaco, lo sentono sulla loro pelle, anche quando, come in questi giorni, ritrovano i profumi di una scuola che dovrebbe e vorrebbe portarli lontano. Anche in queste atmosfere di crescita percepiscono la presenza di un mondo poco accogliente, un mondo che sembra non attenderli da nessuna parte, che non sembra aver molto bisogno di loro.
Questo futuro opaco rischia di rivelarsi una gabbia esistenziale per tutti, giovani e meno giovani. E così ci ritroviamo sempre più bloccati dentro un tempo senza respiro, dentro un tempo della sopravvivenza, in cui la fiducia nel futuro sembra esprimersi ormai solo nella speranza di poter continuare a riprodurre il presente. Proprio come ci propone la grande mistificazione del progresso tecnologico, che in realtà è solo continuo potenziamento di sé e della sua irrinunciabile presenza.
È questo futuro della sopravvivenza ad invitarci oggi a comprare le stufette elettriche per scongiurare la crisi energetica (in Germania è in corso un vero e proprio boom di acquisti). È lo stesso futuro della sopravvivenza che durante la pandemia aveva spinto molte persone a fare scorta di carta igienica. E non mi sorprenderebbe, dopo alcuni recenti annunci allarmanti, anche un prossimo incremento vertiginoso nella vendita di candele e legna per l’inverno.
Eccoci qua, sempre più minacciati da un futuro opaco, a premunirci contro il rischio di dover rinunciare a quelli che Alexis de Tocqueville aveva definito i piccoli piaceri volgari con cui riempire il nostro animo. Con incredibile lungimiranza il filosofo francese aveva previsto, già nell’Ottocento, le fragilità delle nostre democrazie e delle nostre libertà. Ma anche chi, con slancio ideale, rinuncia a rinchiudersi nel proprio piccolo giardino privato, fa fatica ad andare incontro ad un futuro che sia davvero tale, ad una visione del futuro che possa condurci altrove. Penso soprattutto ai giovani: tra loro e il futuro c’è di mezzo il fantasma di un mondo in rovina. A ragione è stato detto che speranze e ideali di tanti ragazzi sono diventati passioni tristi.