Fuori dal tunnel con gli occhi di talpa

/ 08.03.2021
di Ovidio Biffi

Si rinnovano gli annunci di chi vede una luce in fondo al tunnel pandemico. Come nella favola dell’«al lupo, al lupo!», c’è da temere che, invece di fugare le paure, facciano crescere le incertezze e affinino i timori. In parallelo abbondano anche interpretazioni e indicazioni, ma leggendole si capisce soprattutto che il buio lo stanno pesantemente subendo anche coloro – politici, filosofi, economisti ecc. – che, volendo chiarire cosa arriverà dopo la pandemia, non si azzardano ad andare oltre la fine dei lunghi viaggi o a prevedere pericoli di bolle e inflazione. Personalmente mi limito a seguire il sociologo tedesco Hartmut Rosa, semplicemente perché, coerente con quanto ha predicato in passato («Risonanza come concetto chiave di una nuova teoria sociale»), oggi ammette che «nessun modello sociologico, economico o futurologico è in grado di prevedere come andranno a finire le cose (…) perché l’esito non dipende dal nostro sapere, ma dalle nostre azioni».

Tranquilli: volendo parlare di post-pandemia, più che dissertare su teorie o passare in rassegna quanto propongo i più illustri futurologi, preferisco ammettere subito che la spinta mi giunge dai narcisi sbocciati davanti a casa mia anche quest’anno. Significa che torna la primavera e ci porterà comunque un sano afflato di rinascita, riuscendo a scuotere anche cuori appesantiti da divieti, rinunce, falsi annunci, paure, lutti e costi che senza soste hanno segnato un anno in stand-by negativo. Niente rosario di teorie sul futuro che ci attende, provo allora a cercare qualche risposta a una domanda molto semplice: cosa troveremo dopo un anno che la pandemia sanitaria, avviluppandosi e riprendendo forza, ha zavorrato pesantemente quasi tutte le attività anche nel nostro Cantone?

Inizio da una chiara indicazione tratta dall’ultimo rapporto del Censis italiano: nei lunghi mesi di attraversamento del tunnel pandemico abbiamo dovuto imparare a guardare alla quotidianità e agli avvenimenti con «occhi di talpa». E, dopo mesi trascorsi in «lockdown» (al buio proprio come talpe) – aggravato dalla dipendenza a tratti quasi totale da una classe politica impegnata a combattere la pandemia e a garantire una continuità più o meno sicura alla popolazione tutta – di sicuro ora faticheremo non poco ad abituarci alla luce (libertà) o anche solo a mettere a fuoco un paesaggio (società ed economia) profondamente mutato. Dovremo perciò preoccuparci di «vedere bene» il nuovo panorama, prima ancora di pensare a scelte e progetti su come muoversi per rimettere in moto il Paese. Magari impegnandoci un po’ tutti a combattere l’ignavia e le dipendenze (cioè il buio) a cui l’emergenza Covid ci ha abituati.

Comunque davanti ai nostri «occhi di talpa», all’uscita dal tunnel troveremo un panorama con ambienti e paesaggi del vivere non solo segnati dalle emergenze imposte dalla pandemia, da prolungati stop alle attività personali e collettive, ma anche indeboliti da tagli e incertezze occupazionali, resi instabili da forti indebitamenti che trasmetteranno precarietà e crolli alle casse statali e comunali. A recare pressioni al rallentamento congiunturale già in atto, a impedire che il debito che ha aiutato contro il virus soffochi ripresa e progetti di crescita, contribuirà quasi certamente anche il senso di impotenza che un microcosmo come il nostro (ticinese ma anche elvetico) avverte al cospetto di scelte o mutamenti epocali che dipendono da strategie geopolitiche o rapporti internazionali. Senza dimenticare i prevedibilissimi ostacoli di chi, dimenticando le crisi preesistenti e il fatto che le certezze del «respiro breve» raramente aiutano a programmare il «lungo periodo», a ripresa e rinnovamento preferirà un meno impegnativo ritorno all’antica normalità.

Una cosa è sicura: le sfide più delicate sono legate alla capacità che avremo di uscire al più presto dalla cultura del sussidio e dell’aiuto «à la carte». In primo luogo occorrerà un sostegno corale per puntare a una rinascita che tenga in considerazione anche vie di sviluppo considerate nuove (mobilità sostenibile, digitalizzazione spinta, economia verde ecc.) poste in evidenza e valorizzate dalla pandemia. In secondo luogo, oltre al consenso, sarà indispensabile un’intesa tra forze politiche e classe dirigenziale del Paese a sostegno delle future prospettive di sviluppo, in modo che popolazione attiva (lavoro) e generazioni future (socialità e formazione) riescano a passare dal buio alla luce, cioè a uscire dal disorientamento e a trovare slanci di ripartenza.

Ignorare questi scenari, non tener conto che la luce oltre il tunnel, sbandierata, più che un ritorno alla libertà e una fine delle preoccupazioni, in realtà segnerà l’inizio di un immane impegno per classe dirigente (politica e imprenditoriale) e popolazione tutta, non è consigliabile. Sarebbe oltremodo increscioso, dopo un anno da «talpa», non riuscire a «vedere» e a evitare le fauci dei gattopardi che, a parole, sperano che tutto cambi solo perché tutto possa rimanere com’è sempre stato.