È stato accolto con interesse lo studio sui frontalieri pubblicato di recente dall’Ufficio federale della statistica. Dapprima, pensiamo, perché cerca di fare il bilancio dello sviluppo di tale contingente di lavoratori dalla fine del secolo scorso a oggi. È così capace di mettere in evidenza il forte influsso che ha avuto sulla crescita dei frontalieri la realizzazione della libera circolazione. È probabile che in questo primo periodo la crescita dell’effettivo dei frontalieri sia avvenuta anche per sostituzione di altri gruppi di lavoratori. Questa affermazione è nostra: non la trovate nello studio dell’UFS.
Se consideriamo i tassi di aumento annuale del loro contingente dobbiamo però ammettere che l’influsso della liberalizzazione dell’accesso al nostro mercato del lavoro è venuta esaurendosi durante il primo decennio di applicazione della libera circolazione. Il secondo risultato di questo studio da prendere in considerazione è la constatazione che, negli anni più recenti, l’aumento dell’effettivo dei frontalieri deve invece essere piuttosto attribuito alla crescita delle economie dei Cantoni di frontiera. Da questo punto di vista è importante accennare a una correlazione sulla quale insiste lo studio dell’Ufficio federale di statistica. La crescita del contingente di frontalieri è correlata positivamente con la crescita del prodotto interno lordo del nostro paese.
Tuttavia non è, come si pensava fino a poco tempo fa, che l’aumento dei frontalieri possa essere considerato araldo della crescita economica. Le stime eseguite dall’Ufficio federale di statistica hanno infatti messo in evidenza che prima viene la crescita e solo in seguito, addirittura con il ritardo di un anno, si manifesta l’aumento del numero dei frontalieri. Grazie a questa verifica sappiamo oggi che se l’effettivo dei frontalieri aumenta, per esempio nel primo trimestre dell’anno, questo non dice niente sul possibile andamento dell’economia nei tre trimestri successivi. L’aumento in questione è infatti da attribuire all’effetto che ha avuto la crescita dell’economia, durante l’anno precedente, sulle aspettative dei datori di lavoro. Se le cose stanno così hanno meno peso le preoccupazioni di coloro che temono l’invasione del mercato del lavoro da parte del frontalierato. Il frontaliere, oggi, viene a lavorare da noi solo se esiste una richiesta di lavoratori da parte delle aziende.
I dati pubblicati dall’Ufficio federale di statistica mostrano anche che la risposta del frontalierato alla crescita del Pil è andata declinando nel tempo. Ciò significa che per un 1% di crescita del Pil reale l’aumento del contingente di frontalieri sarà oggi, in percentuale, minore di quanto poteva invece essere ancora dieci anni fa. Questo succede perché negli ultimi anni si è manifestato, anche nei Cantoni di frontiera, un aumento significativo della produttività. Il capitale viene quindi, come fattore di produzione, a sostituire il fattore lavoro. A livello nazionale è probabile che l’apporto dei frontalieri all’offerta di lavoratori non sia rilevante. La loro quota nel totale degli occupati era, nel 2020, pari al 6,7%.
Nei Cantoni di frontiera però il loro apporto all’offerta di manodopera è molto più significativo. Stando allo studio dell’UFS in Ticino, per fare un esempio, i frontalieri rappresentano oggi circa 1/3 del totale degli occupati. Come sappiamo vi sono rami dell’economia ticinese che non potrebbero continuare l’attività senza il loro sostegno. E non si tratta solo di rami che fanno ricorso a manodopera poco qualificata. Nel corso degli ultimi due decenni la presenza del lavoratore frontaliero è diventata insostituibile anche in molti rami dei servizi che richiedono ai loro collaboratori un livello di competenza e di esperienza molto elevato. Lo studio dell’UFS mostra comunque che la crescita dell’effettivo dei lavoratori frontalieri sta diventando un fenomeno asintotico. Questo significa che per lo stesso esiste un livello di espansione massima al quale, in Svizzera come in Ticino, ci stiamo sicuramente avvicinando.