Nella ricerca empirica degli economisti pochi temi pongono così tante difficoltà di interpretazione come il mercato del lavoro. In primo luogo perché i dati che lo concernono fanno sempre difetto. In secondo luogo perché è un mercato che continua a mutare. È quindi sempre difficile riconoscere quali siano i suoi orientamenti di fondo, quelli cioè che ne potrebbero influenzare l’evoluzione futura. Tanto di cappello quindi al giovane economista Elia Pontalli che, nella sua tesi di bachelor, ha cercato di fare una fotografia del mercato del lavoro ticinese, interessandosi in particolare alla sua evoluzione dopo l’introduzione degli accordi con l’Ue sulla libera circolazione delle persone. I risultati della sua analisi sono stati pubblicati di recente, in versione sintetica, nella rivista «Dati».
Nella sua descrizione di cosa sia successo nel corso degli ultimi due decenni, Pontalli mette dapprima in evidenza quanto rapida sia stata la crescita dell’occupazione nell’economia ticinese, largamente superiore alla crescita della popolazione attiva. Ovviamente questa evoluzione è stata possibile solo grazie all’importante apporto della manodopera frontaliera. Altrettanto palese è perché si sia imposto questo tipo di sviluppo. La possibilità di ricorrere alla manodopera frontaliera è stata sfruttata in maniera ampia dalle aziende ticinesi soprattutto perché, a parità di qualifiche, il frontaliere costava loro meno del lavoratore residente nel Cantone. Pontalli presenta dati, derivati dalla statistica ufficiale, che provano che, in Ticino, il differenziale di salario tra lavoratori svizzeri e lavoratori frontalieri si ritrova praticamente in tutti i settori della classificazione Noga, ossia della classificazione internazionale dei settori di occupazione.
Secondo lui, l’esistenza di queste differenze di salario può solo in parte essere fatta risalire a livelli di formazione diversi. Un altro fattore che determina le differenze di salario tra svizzeri e frontalieri è dato dalla diversa distribuzione degli effettivi di questi lavoratori tra i vari settori di occupazione. Ma, come si è già ricordato, la differenza di salario si ritrova anche all’interno del medesimo settore: i frontalieri sono, con pochissime eccezioni, pagati dal 15 al 25% meno degli svizzeri. Pontalli rileva poi quello che studi eseguiti negli anni Ottanta dello scorso secolo avevano già messo in evidenza, ossia che, nell’ambito delle regioni di frontiera svizzere, la discriminazione salariale nei confronti dei frontalieri è grande solo in Ticino. Nelle altre regioni le differenze di salario sono molto più contenute. In certe regioni, addirittura, il frontaliere è pagato di più che il lavoratore svizzero. Quando si discute di queste differenze si sente spesso l’argomentazione stando alla quale anche con un salario più basso di quello versato ai suoi compagni di lavoro svizzeri il lavoratore frontaliere si ritrova a fine mese, grazie alle differenze nei prezzi tra Svizzera e Italia, con un potere di acquisto più elevato di quello che avrebbe potuto conseguire rimanendo a lavorare nel suo Paese. Anche Pontalli pensa che siano queste differenze nel potere di acquisto a indurre i frontalieri ad accettare salari più bassi di quelli versati ai lavoratori svizzeri.
Questo però non significa che essi non siano coscienti di essere discriminati dal profilo salariale. Che sia così lo dimostra un altro risultato del lavoro di Pontalli. Si tratta delle modifiche nelle scelte del frontalierato rispetto ai settori di occupazione. Nel corso del tempo non solo i lavoratori svizzeri ma anche quelli frontalieri si muovono verso i settori con posti di lavoro sicuri e che hanno non solo salari più elevati ma anche differenze salariali tra le diverse componenti dell’occupazione (come per esempio lavoratori svizzeri e lavoratori frontalieri) più contenute. Per il momento questi movimenti non hanno creato problemi di reclutamento ai settori che pagano meno. La riserva di frontalieri interessati a venire a lavorare in Ticino sembra infatti essere quasi inesauribile. La maquiladora ticinese continua quindi ancora a funzionare. Notiamo però che, da dieci anni a questa parte, si creano sempre meno nuove aziende in Ticino. Nella nostra economia terziarizzata, se le aziende cessano di aumentare, anche i frontalieri cominceranno a diminuire.
Frontalieri sotto la lente
/ 16.08.2021
di Angelo Rossi
di Angelo Rossi