Lo scorso mese l’Ufficio federale di statistica (Ustat) ha annunciato che alla fine del secondo trimestre i frontalieri in Ticino erano 79’181, l’1,4% in più rispetto ai primi tre mesi del 2023, ma con una variazione del 3,5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. A livello di media e di politica la notizia è stata digerita senza particolari sottolineature, analogamente a quella di sei mesi prima. Allora, a inizio febbraio, un roboante titolo sul «Corriere del Ticino» mi aveva per un attimo convinto che finalmente qualcuno si fosse svegliato: Siamo seduti su una polveriera, si leggeva infatti in prima pagina, e avevo pensato che fosse il lancio di un articolo sui dati relativi ai frontalieri in crescita, appena letto sul sito online dello stesso quotidiano luganese.
Mi sbagliavo: caratteri cubitali e «polveriera» erano riferiti a un allarme, un po’ meno importante, dell’Associazione degli inquilini per un ipotetico rialzo degli affitti. Titolo e articolo sui lavoratori insubrici comparvero il giorno dopo: misero taglio basso in prima pagina (un enigmatico Lavoratori frontalieri, Ticino sul podio, come se fossimo in gara con Uri, Svitto e Untervaldo…) e rimando a un’analisi, per la verità assai simile a un atto notarile, del frontalierato in Svizzera. Sei mesi dopo, oltre a ricordarmi l’equivoco di quei due titoli, l’annuncio che il numero dei frontalieri rasenta le 80’000 unità mi riporta alla mente anche una lettera inviata anni fa a un nostro Consigliere di Stato, sempre a proposito dei frontalieri, ma riguardante piuttosto i tanti imprenditori, o presunti tali, che senza remore o con giustificazioni sempre più di routine continuano a reclutarli in Ticino. Al magistrato, cavalcando la mia congenita ingenuità, proponevo un calmiere per un mercato del lavoro che, oltre a condizionare salari ed economia cantonale, da decenni sta guastando il nostro tessuto sociale. Ovviamente il ministro interpellato aveva gentilmente liquidato la mia proposta ritenendola impraticabile, se ben ricordo, perché in conflitto con leggi, norme e accordi.
Cosa chiedevo in quella lettera? Un poco diplomatico e utopico decreto governativo: dal 1. gennaio (retroattivo) tutte le aziende e gli enti del secondario, del terziario o del parastato versano un tributo erariale di 1000 franchi annui per ogni frontaliere occupato. Prendere o lasciare insomma. Facile il raccolto: un tale contributo assicurerebbe allo Stato nuove entrate tra i 60 e i 70 milioni di franchi annui che Governo e dipartimenti potrebbero ridistribuire garantendo priorità a mercato del lavoro, formazione dei giovani, promozione economica ecc. Lo «strumento» consentirebbe però al dipartimento interessato anche un monitoraggio del corpaccione del frontalierato, segnalando ai preposti dell’amministrazione possibilità o necessità di interventi – magari preventivamente e senza attendere i soliti dati federali – per calmierare o interrompere abnormi domande di assunzioni di frontalieri per produzioni prive di valore aggiunto, come pure in settori delicati del parastato in cui una già forte presenza di frontalieri comporta risvolti sociali e politici.
In altre parole è forse il momento di iniziare a pensare a come porre fine al deleterio laissez-faire (lasciate fare) prima giustificato o tollerato con l’alibi della manovalanza o per «lavori che il ticinese non vuol più fare» e poi proseguito anche nel terziario senza più freni o limiti, se si escludono i periodici «al lupo, al lupo» di chi cavalca questo fenomeno per altri fini e scopi. Oggi da questo ampliato e prolungato frontalierato sans frontières derivano ombre e un progressivo aumento di un mortificante squagliamento in ambito sociale, soprattutto perché in definitiva obbliga i giovani a scelte occupazionali ed esistenziali sempre più difficili. Qualcuno insiste ancora nel difendere la positività di un’economia cantonale che, tutto sommato, si muove. Dimentica però che il nostro è un convoglio che prosegue sbuffando su binari in continua manutenzione e con vagoni sempre più di seconda e terza classe. La conferma giunge dai dati di un nuovo documento digitale che l’Ustat ha presentato a inizio agosto sul panorama del lavoro ticinese: a fine giugno nei 243’000 posti di lavoro erano occupati 178’000 residenti e 80’000 frontalieri (di cui un 67% nel terziario). Se non è una polveriera…
Frontalieri sans frontières
/ 11.09.2023
di Ovidio Biffi
di Ovidio Biffi