Fragili, sopravvalutati, o forse entrambi?

/ 05.06.2023
di Giancarlo Dionisio

Abbiamo sconfitto i Campioni del mondo e siamo stati superati soltanto dalle due squadre che hanno conquistato l’argento e il bronzo. Potrebbe suonare come consolatorio. In realtà, a distanza di più di una settimana, permangono amarezza e perplessità.

Mancano poco più di cinque minuti al termine del quarto di finale che ai Mondiali di hockey su ghiaccio pone di fronte Svizzera e Germania. I tedeschi stanno difendendo senza eccessivo affanno il 3 a 1 maturato grazie a uno sciagurato periodo centrale da parte dei Rossocrociati. C’è una pausa di gioco. Le telecamere indugiano, impietose, sulla nostra panchina. Patrick Fischer armeggia con la lavagnetta tattica. La scruta, la gira, la rigira. Sembra quasi chiedersi che cosa sia quell’aggeggio che si trova tra le mani. Lo sguardo sembra perso. I giocatori sembrano non avere alcuna intenzione di starlo ad ascoltare. Anche perché, in verità, il Coach non ha nulla da dire.

Al rientro sul ghiaccio lo sguardo di Kukan, inquadrato in primo piano, non riesce a dissimulare la disillusione. Il linguaggio del corpo è leggibile come un libro per bambini scritto a caratteri giganteschi. «Fischi» tenta la carta della disperazione. Toglie dalla gabbia Robert Mayer tre minuti e mezzo prima della sirena. Tuttavia l’assalto dei nostri sembra più di facciata. Il portiere dei tedeschi compie un paio di salvataggi. Fa parte del suo lavoro. A porta sguarnita la Svizzera rischia di incassare anche la rete del 4 a 1. Fosse entrata non avrebbe modificato di una virgola il bilancio fallimentare dei Rossocrociati. Non lo dico io. Lo avevano dichiarato, in tempi non sospetti, il Selezionatore e il Direttore Lars Weibel. Lo aveva confermato capitan Niederreiter la vigilia della sfida contro i Tedeschi: «Oggi, arrivare ai quarti è un dovere, non un obiettivo. Oggi tutti sognano la vittoria, come fanno le grandi squadre. In questo, la nostra mentalità è cambiata tantissimo».

Il gruppo era convinto di andare lontano. El Niño, ammette che, al momento di uscire dallo spogliatoio, prima di scendere in pista, avrebbe ricordato ai compagni che «in fin dei conti è soltanto una partita». Riconosce anche che non è farina del suo sacco. È una citazione dotta attribuita a Murat Yakin. Ed è un concetto che avrebbe potuto esprimere anche Vladimir Petković. I tre allenatori in questione sembrano infatti prigionieri dello stesso Karma. Le loro squadre, carine, propongono trame convincenti, vincono, illudono, poi, sul più bello, salta sempre un fusibile.

La Nazionale di hockey, in questo Mondiale, sembrava poter assoggettare il mondo intero alla sua legge. Tre vittorie contro le cosiddette deboli del girone. Quindici reti segnate, zero subite. Il crescendo non si arresta neppure quando i Rossocrociati affrontano Slovacchia, Canada e Cechia. Il primato di gruppo è garantito nonostante la sconfitta all’overtime contro la Lettonia. Un piccolo appannamento. Tranquilli. La testa era già proiettata al quarto di finale contro la Germania. Infine il crac. Il 3 a 1 rifilatoci dai teutonici pesa almeno quanto il 4 a 0 incassato contro il Portogallo dai ragazzi di Murat Yakin. Anzi, è ancora più umiliante, perché questa volta l’ambiente ci credeva.

Sui social, già prima della sirena finale, il popolo del web si è scatenato nella caccia ai responsabili. I primi colpevoli sono i giornalisti, anche se non giocano. Li si accusa di aver pompato e magnificato un gruppo di giocatori che in fondo non è poi così forte. In loro soccorso scende in pista Patrick Fischer. La sua analisi è schietta, onesta. «La delusione è totale, mi sento responsabile di questo risultato. So di cosa sono capaci i miei giocatori nei club, dobbiamo capire perché qui non riescono a esprimersi».

Tuttavia, alla precisa domanda su come migliorare la forza mentale del Team, nessuno ha saputo fornire una risposta che consenta di guardare al futuro con maggiore ottimismo. Continueremo quindi a illuderci che il nostro è il campionato di maggior qualità dopo la NHL. Cinicamente ci ritroveremo ancora a sperare che le franchigie in cui giocano i nostri big oltreoceano non si qualifichino per i play off. Per poi trovarci alla buvette a interrogarci, senza che nessuno ci suggerisca almeno una parvenza di risposta. O quantomeno un indizio che ci aiuti a capire.