Perché si fotografa? Sembra facile rispondere: per avere un ricordo. È vero. In assenza dell’amato o dell’amata la foto li sostituisce. Cioè, non che sostituisca; la foto in fondo è una sorta di ombra portatile, uno guarda l’ombra e gli sembra di guardare lei dietro un vetro, anzi, lei con un occhio solo da un buco o da uno spioncino.
Passa il tempo, se lei è ancora la sua amata, la foto diventa un confronto impietoso, e lei si moltiplica, perché c’è una lei presente e vivente coi segni del tempo, e una lei di quel giorno del tempo passato che non si recupera più, quindi la foto fotografa qualcosa di morto e perduto, che mette malinconia; è una piccola pietra tombale, anche se lei è ancora viva e vegeta, magari è la moglie; ma quella ragazza di quel giorno, di quella gita indimenticabile, pieno di promesse e di un futuro incognito, che poi invece quel futuro è diventato l’attualità, che può essere bella o brutta, ma in ogni caso è sempre diversa dalle aspettative, e quindi quella ragazza di quel giorno è laggiù sepolta, e ogni foto è una sepoltura diversa; sì, uno dirà, è bello vedere una foto e ricordare, cioè avere un aiuto per ricordare. Sì, è bello, ma è anche la rassegna di tutto ciò che non c’è più.
Una foto è dolorosa, anche se è una foto di un momento felice e allegro. Non è paragonabile a un ritratto dipinto, che non coglie un attimo particolare di un giorno particolare; un ritratto è la sintesi di una persona, se un pittore è bravo coglie la caratteristica di una persona, diciamo che coglie l’anima, cioè qualcosa che perdura, che c’era già da giovinetta e resta fino in vecchiaia, coglie quell’espressione ideale e quel momento in cui uno è lui pienamente, cioè, se mai ci fosse il giudizio universale e la resurrezione dei morti, come da duemila anni promettono, coglie l’aspetto che il morto risorto avrà per il resto dell’eternità. Mentre se Dio onnipotente avesse a disposizione solo le foto, sarebbe perplesso, «come vuoi essere?» chiederebbe al cadavere prima della resurrezione, e gli farebbe vedere una foto a due anni, ciccione come sono ciccioni i bambini piccoli, la faccia tonta, seduto per terra come un salame, e se ci fosse attorno un assembramento di sante e di beate, «che carino!» direbbero; fosse per loro, il risorto dovrebbe restare di due anni per sempre, il che non sarebbe giusto né di soddisfazione.
Ma supponiamo che ogni morto abbia l’obbligo di portare con sé un album, ovviamente solo i morti dopo l’invenzione della fotografia, sfogliandolo Dio stesso, o san Pietro se è lui l’incaricato, o comunque il comitato per la resurrezione, guardando le foto dell’album esclamerebbero: «Ma non è la stessa persona!», perché in effetti ogni foto è un morto diverso, non solo perché uno muta d’aspetto, uno muta anche pensieri, ideali, muta il passato perché uno lo ricostruisce continuamente a seconda dell’umore e degli eventi, muta il futuro perché continuamente si aprono futuri possibili che poi si chiudono, e tutto questo traspare in faccia, cioè la vita è fatta di epoche. Certo ci sono epoche migliori o peggiori, e uno di fronte al comitato delle resurrezioni sceglierà la migliore, la foto più bella, in salute e speranzoso, ma le foto più belle sono sempre false, sono solo foto fortunate, con un favorevole effetto luce, dove uno è come vorrebbe essere ma non è.
Dico questo indipendentemente dal fatto che ci sia o no la resurrezione, la quale è interessante perché pone il problema dell’identità, e se si sta alle foto un individuo è molteplice, cioè muore continuamente, quindi dovrebbe produrre tanti risorti, il che è un controsenso. Se poi consideriamo la proliferazione attuale infinita di immagini col digitale, l’identità si è sgretolata, il comitato impazzirebbe, il morto si presenta con una chiavetta, e andrebbe avanti a proiettare per due giorni, estenuando tutto il concistoro per le resurrezioni, che confonderebbe le facce, molti si addormenterebbero, direbbero «Basta!», ed è garantito che la resurrezione verrebbe abrogata. Io credo che già lo sia.
E le foto allora? Le foto stampate ingialliscono, come ognuno sa, sbiadiscono, finiscono in una scatola in solaio o in cantina, se le mangia l’umido e alla prima ristrutturazione vengono gettate in un cassonetto. Quelle digitali vivono meno ancora; per fare spazio in memoria o al primo virus, tutte scomparse, come è auspicabile per ogni tipo di ombra.
Fotografare
/ 06.09.2021
di Ermanno Cavazzoni
di Ermanno Cavazzoni