Cara Silvia,
penso che siamo coetanee e che mi capirai. Sono ormai anziana ma sto relativamente bene. Però questo non dovrebbe autorizzare mio figlio a telefonarmi la domenica quando va bene e a venirmi a trovare sì e no ogni due o tre mesi. Sua moglie poi non la sento mai e neppure mio nipote, che ha ormai 12 anni e potrebbe farsi vivo di quando in quando. Non ho amiche e spesso mi sento sola. Sono sicura che, in caso di emergenza, posso contare su di loro, ma non basta. Ho bisogno di sentirmi pensata e amata ogni giorno senza aspettare la fine. Perché non lo capiscono? / Sonia
Gentile dottoressa,
da quando sono stata operata per frattura del femore, i miei figli (una femmina e un maschio) mi ossessionano con le loro premure: mamma non uscire, non salire sulla scaletta, copriti, mangia, ti accompagno dal dottore, hai preso le medicine? Ho una certa età ma non sono né scema né invalida e vorrei che avessero più fiducia nelle mie risorse. Sono sempre stata una donna libera e autonoma e, finché posso, vorrei continuare così, senza sentirmi ostaggio delle loro apprensioni. / Vera
Care Sonia e Vera,
ho messo insieme le vostre lettere perché mostrano come sia difficile, quando i genitori invecchiano, trovare la giusta misura per proteggerli senza abbandonarli o soffocarli.
Spesso si garantiscono le cure del corpo senza pensare ai bisogni dell’anima. L’attenzione è il miglior farmaco contro la depressione che minaccia chi sente ridursi il tempo che resta.
Forse, in entrambi i casi, il normale processo di separazione dei figli dai genitori è rimasto incompiuto per cui permangono alcuni squilibri. Credo che il figlio di Sonia si difenda, centellinando le attenzioni verso la madre, dall’angoscia di confrontarsi con la caducità della sua stessa vita. La vecchiaia rende evidente che ogni anno in più è anche un anno in meno. E a molti questa constatazione fa paura. L’intervento della nuora sarebbe importante perché, meno coinvolta emotivamente, potrebbe indurre atteggiamenti più equilibrati. Anche al ragazzino, che sta delineando la sua identità, farebbe bene sapere che ha alle spalle una storia di famiglia, un passato che orienta il futuro. Inoltre, occuparsi della nonna potrebbe farlo sentire più forte e maturo. Ogni volta che ci prendiamo cura dell’altro ci prendiamo cura di noi.
Al contrario di Sonia, Vera apprezza l’attenzione dei figli ma la trova esagerata per cui li supplica: lasciatemi fare anche a costo di sbagliare. È giusto che, a un certo punto della vita, i ruoli si capovolgano e i figli diventino genitori dei loro genitori, ma non di colpo, solo perché è accaduto un evento traumatico. Ogni stagione della vita va affrontata con gradualità. Si è sempre vecchi per la prima volta e imparare dall’esperienza è un impegno continuo. Quando il passo diventa insicuro, la memoria perde colpi e i sensi si affievoliscono, non si ha bisogno di essere sostituiti ma di ricevere fiducia e incoraggiamento. La dipendenza risulta sempre penosa ed è meglio ridurla al minimo, anche accettando qualche rischio. Può darsi che figli eccessivamente accudenti intendano mettersi al riparo da eventuali sensi di colpa. Ma tra il disinteresse e l’apprensione vi è una terza via: la responsabilità.
Fintanto che i «più che adulti» rimangono capaci di intendere e di volere non sono oggetti ma soggetti della loro vita. Ed è pertanto con loro che va contrattata, con empatia e sensibilità, la distanza da tenere. Quello tra generazioni è uno scambio difficile, che muta nel tempo, si adegua alle circostanze ma che deve essere personalizzato perché ognuno è modellato dalla sua storia e ha un carattere unico, inconfrontabile, uguale solo a sé stesso.