Feste vietate, feste rivalutate

/ 02.11.2020
di Luciana Caglio

Per il commercio, sempre in anticipo sul calendario reale, la stagione delle feste è già cominciata. Nei supermercati sono comparsi i primi babbi Natale di panforte, i panettoni, le confezioni di cioccolatini in scatole dorate e, nelle vetrine delle boutiques, abiti da sera e accessori destinati ai ricevimenti di fine anno. Sono segnali che, abitualmente, suscitano reazioni anche di fastidio nei confronti dell’invadenza consumistica e dell’eccesso di festeggiamenti, ormai dilatati sull’arco dei mesi, tanto da svuotarsi di significato. Dopo San Nicolao, Natale, San Silvestro, parte l’infilata dei carnevali à gogo. Tanto da giustificare, soprattutto negli ambienti benpensanti, una sorta di allergia alle feste, diciamo pure un po’ di snobismo. Dal quale, confesso, non ero immune. Mentre fuori si salutava l’anno nuovo rumorosamente, meglio rintanarsi in casa con i pochi amici di sempre. Ma, ecco che questo 2020 butta all’aria una tradizione secolare con divieti camuffati: non punitivi, anzi benefici. In nome del buon senso o senso della responsabilità, non si può far altro che accettare provvedimenti ufficiali che limitano affollamenti pubblici e privati. Persino i brindisi, fra le pareti domestiche, dovranno rispettare la parola d’ordine: siate in pochi e niente abbracci.

Al di là dell’aspetto poliziesco di un’ennesima violazione della privacy, la raccomandazione è persino superflua, coi tempi che corrono. In proposito, ha fatto centro, più di ogni discorso, la vignetta di Giannelli, sul «Corriere della Sera», in cui un cittadino, leggendo la notizia «Divieto di feste in casa» esclama: «Vorrei sapere che cosa ci sarebbe da festeggiare!». Il messaggio, improntato a un amaro realismo, apre tuttavia una scappatoia affidata all’ironia. Conferma il bisogno di sorridere e ridere anche nei momenti peggiori. Ed è, in definitiva, la funzione che spetta alle feste, occasioni di evasione, dimenticanza: una ricarica per tirare avanti. Adesso che sono vietate, ne riscopriamo l’utilità. Insomma, è l’effetto boomerang del proibizionismo.

Con ciò, all’emergenza, e relative rinunce, c’è pure chi ci prende gusto. In primis, le autorità politiche con interventi che toccano o superano il limite del consentito. Come nel caso del contact tracing, strumento per rintracciare il cittadino possibile «positivo», e controllarlo persino a domicilio. Proprio qui, entra in scena un nuovo professionista: il «coronavirus detective». In parole povere, si tratta dell’inquilino che, sbirciando dalla finestra, denuncia la presenza di troppi ospiti presso il suo vicino. Fino a ieri, era un ficcanaso, o peggio un delatore, oggi viene promosso a informatore coscienzioso. Del resto, dall’impegno morale al moralismo il passo è breve. E così la rinuncia ad acquisti, viaggi, svaghi diventa un mezzo di redenzione. «Saremo più buoni e bravi» è il ritornello dei patiti di un’obbedienza totale, che associa ideali politici e credo religiosi a forme d’igienismo maniacale. Tipo l’obbligo di togliersi le scarpe, imposto da padroni di casa, che accolgono gli ospiti con spray disinfettanti.

Ovviamente, è il bello della democrazia, all’élite, chiamiamola così, degli zelanti si contrappone il popolo dei contestatori. Finora, da noi, il cittadino che protesta si sfoga sui giornali e sui social, evitando la piazza dove i buoni propositi rischiano di essere travolti dalla violenza. E, nella confusione, fra sassi, petardi, lacrimogeni diventa difficile stabilire chi ha torto o ragione. 

L’unica cosa certa è che, nel nostro prossimo futuro, sono scomparse le feste. Sia pubbliche, sia private. Forse si salverà l’albero acceso dal sindaco in piazza Riforma, a Lugano. Ma non vedremo le bancarelle che trasformavano il centro in un mercato invasivo e ormai prevedibile. Non a torto, i cittadini ipercritici lo consideravano un’esibizione di kitsch pseudoetnico deturpante. Mentre, nell’ambito privato, ci si trovava alle prese con troppi inviti a cene, aperitivi e inaugurazioni varie, costretti a scelte delicate fra l’utile o il dilettevole: il pranzo signorile con il direttore o l’improvvisata fra amici?

Simili imbarazzi ci sono risparmiati, alla vigilia di una stagione che dal troppo pieno ci sta precipitando nel troppo vuoto. In quest’insolito tragitto, tiene compagnia il ricordo, anzi il rimpianto, dei rumori, delle folle, degli acquisti che contrassegnavano una libertà perduta.