Feste, fiere, libri

/ 13.05.2019
di Franco Zambelloni

Tornano, come ogni anno, i «saloni del libro»: quello di Ginevra si è concluso da poco, ora è in corso quello di Torino. Sono iniziative commerciali, ma anche culturali: conferenze, convegni, incontri con gli autori. È bello, dunque, che ci siano ancora molti che non affluiscono solo alle partite di calcio o alle sfilate di carnevale, ma sono incuriositi dalle novità librarie, sfogliano le pagine dei libri esposti, pregustano una lettura.

È passata una decina d’anni da quando Umberto Eco pubblicò Non sperate di liberarvi dei libri. Circolavano da non molto i libri in formato elettronico e le prime voci allarmistiche già piangevano la fine del libro: Eco nutriva la convinzione che le innovazioni tecnologiche non avrebbero soppiantato, ma solo affiancato i volumi cartacei. E, del resto, dagli inizi della scrittura i libri hanno più volte cambiato volto: dai rotoli di papiro ai codici degli amanuensi, alle edizioni a stampa. In realtà, almeno per ora, a giudicare dalle migliaia di nuovi titoli che appaiono ogni anno in lingua italiana, si direbbe che la crisi è scongiurata; anche se, con la nuova generazione «digitale», potrebbe affermarsi la preferenza per il libro elettronico. Ma quel che importa è che non si estinguano i lettori: se questo non accade, non finiranno neppure i libri. E il successo costante dei saloni e delle fiere del libro sembra confermarlo.

Forse è anche per questo, e non solo per motivi commerciali, che si organizzano le fiere del libro: non sono solo esposizioni di volumi e rassegne di conferenze, ma anche una sorta di festa che raggruppa masse di lettori e tiene viva la voglia della lettura. La festa, ormai, è diventata il sostegno di tante iniziative, e si direbbe quasi che senza questo supporto non sarebbe possibile salvarne gli intendimenti educativi. Per esempio, il 2 aprile si è festeggiata la «Giornata mondiale per la consapevolezza dell’autismo», ricorrente dal 2007; il 22 marzo si è celebrata la «Giornata mondiale dell’acqua», indetta dall’ONU dopo la Conferenza di Rio, a partire dal 1993; il 1° gennaio si è svolta la «Giornata mondiale per la pace», il 27 gennaio è il «Giorno della memoria» in ricordo della Shoah; in marzo, la «Festa della donna», poi la «Festa del papà»; in maggio la «Festa del lavoro», poi la «Festa della mamma»; e ancora, più avanti, ci aspettano la «Giornata mondiale per i diritti dei bambini», la «Giornata internazionale contro la violenza sulle donne» e tante altre giornate celebrative.

Sono tutte ricorrenze a sostegno di ottimi princípi, non c’è dubbio: ma i problemi da affrontare, le cause per cui lottare, i diritti da sostenere sono talmente tanti che in futuro bisognerà forse riformare il calendario per aggiungervi altri giorni. Ma poi: queste feste e queste ricorrenze sono degli espedienti per incentivare la riflessione e la memoria: ma sono efficaci? Raggiungono lo scopo per il quale sono sorte?

Le feste sono importanti occasioni di aggregazione sociale intorno a ideali e a valori. Non per nulla Rousseau, sognando una repubblica di uomini liberi, attribuiva alle feste un’importanza fondamentale: nella Lettre à D’Alembert scriveva: «Quali sono i popoli ai quali più si addice di riunirsi spesso e di formare tra loro i dolci legami del piacere e della gioia, se non quelli che hanno tante ragioni per amarsi e restare sempre uniti?» La festa, dunque, come momento di coesione sociale: la gioia – Rousseau lo sapeva bene – è lo stato d’animo che più invoglia alla compagnia e induce alla fratellanza. Perciò il rituale della festa deve suscitare emozioni gioiose: «All’aria aperta, sotto il cielo vi dovete riunire per abbandonarvi al dolce sentimento della felicità».

Non basta, dunque, una scritta sul calendario e qualche discorso di circostanza perché la ricorrenza abbia un senso: le feste vere prevedono rituali e momenti di convivenza lieta che suscitano emozioni. Solo con le emozioni i ricordi permangono nella memoria e acquistano significato. E, come per le feste, così è anche per i libri: leggere un romanzo è come vivere una vita immaginaria, ma solo se le pagine lette evocano sentimenti, emozioni e pensieri rimangono nella memoria. Anche per questo i libri, come le feste, non dovrebbero essere sovrabbondanti, per non sprofondare nella monotonia e nell’indifferenza. Così scriveva Seneca al suo discepolo Lucilio: «Troppi libri producono dissipazione: perciò, se non ti è possibile leggere tutti i libri che potresti avere, basta che tu abbia i libri che puoi leggere».