Federer, un mito a Lugano come a Melbourne

/ 05.02.2018
di Alcide Bernasconi

La notizia che fra le migliaia di lodi sperticate per la storica impresa del nostro Roger Federer sarà forse stata notata solo da una piccola cerchia di lettori ticinesi della «Repubblica» – il quotidiano che ci assicura i commenti tennistici più interessanti e meglio raccontati, grazie alla «penna» di Gianni Clerici – è semplicemente questa: il maestro si trovava a Lugano ad ascoltare i commenti dei due inviati della RSI, Stefano Ferrando e l’ex campione nostrano Claudio Mezzadri. «Bravissimi», ha scritto Clerici.

Il grande Gianni non è stato comunque l’unico a seguire la finale dell’Open d’Australia in riva al Ceresio. Anche noi, senza volere per questo menar vanto, abbiamo fatto lo stesso e, credo, anche molti altri appassionati dello sport della racchetta e non, sono rimasti a Lugano (e dintorni) trascorrendo una piacevole domenica mattina. Io, per la verità, ho rispolverato per l’occasione un mio vecchio vizio, quello di saltare dal commento in italiano a quello in francese e in tedesco, ricordandomi che con questo sotterfugio diedi una mano al nostro Marc Rosset che vinse nel 1992 la tiratissima finale olimpica a Barcellona, la prima dopo il ritorno del tennis nel programma delle Olimpiadi, titolo in palio. E la ventesima finale di un torneo dello Slam, che è stata tutt’altro che facile, conferma questa mia convinzione.

Quelle volte quando si capiva presto che il nostro Roger non era in forma, magari disturbato da un ritorno del mal di schiena o da chissà che altro, non ho mai tentato la mossa col televideo, ben sapendo che c’è un limite a tutto, anche per me. Allora spegnevo il video e mi alzavo dalla poltrona, con la fatica di chi da un paio d’anni visitava ospedali e studi medici con grande frequenza, tanto da vedersi costretto a dichiarare forfait anche con l’appuntamento bisettimanale con l’«Azione».

Di questo mi scuso con i lettori più generosi nei miei riguardi, quelli che ti assicurano di leggere sempre i tuoi pezzi, nonostante non ne fosse più stato pubblicato alcuno per una pausa più lunga di quella che Federer s’era preso per rimettersi in sesto e tornare, a 36 anni, a mettere in riga tutti gli avversari. A qualcuno egli ha concesso la gioia di averlo battuto, ma due suoi traguardi più prestigiosi – l’Open d’Australia e Wimbledon – non li aveva mancati. 

Altra piccola pausa, ed eccolo, Roger, di nuovo pimpante per rivincere a Melbourne, mentre due fra i suoi più irriducibili avversari della sua lunga carriera, Nadal e Djokovic, non hanno ancora risolto i problemi fisici per i quali pure, come Federer, avevano deciso di concedersi una sosta. 

Tuttavia Federer è ormai da anni un mito, non solo dopo il traguardo del ventesimo Slam conquistato fra il 2003 e il 2018, tanto che i giornali hanno già usato tutti gli aggettivi per descrivere il campione più grande che il tennis abbia mai avuto. Probabilmente irraggiungibile. Al punto che molti altri grandi di varie discipline reggono con fatica il paragone.

A questo punto ci sarà chi di voi, cortesi lettori, dato che di Federer avete già letto tutto, si sarà chiesto come mai non ho detto ancora nulla della mia complice – Donna Michelle – di questa sconnessa storia del nostro campione, ossia quella che racconto raccogliendo qua e là indiscrezioni, non so davvero quanto attendibili. Nessuno, salvo un paio d’anni fa una signora di Zurigo che voleva iscriversi al «Federer Fans Club via Collinetta», e si sentì rispondere che non esiste, è pura fantasia pur con qualche brandello di verità, come i risultati e altre cose che tutti sanno. «È una vergogna», disse la signora e riattaccò.

Federer del resto non ci ha mai interpellati per saperne di più. Di lui, se siete attenti, diciamo sempre poco o nulla. Protagonista della storia è il nostro immaginario club – sia ben chiaro: immaginario – la cui sede in cima a via Collinetta è stata imbandierata come si deve. La governante spagnola, la bravissima Victoria, s’è data da fare per soddisfare le esigenze della sua padrona di casa, affinché i soci saliti in villa a seguire sul grande schermo la sfida con il croato Marin Cilic, godessero di un servizio impeccabile. Antipasti delicati e champagne, seguiti a fine partita da un buonissimo pranzo. 

Io non ci sono andato, vista l’assenza di Donna Michelle volata in Australia e ospite del miglior albergo di Melbourne. Grazie ancora, Victoria, per avermelo detto. Senza Michelle non ci sono e lei lo sapeva. Così dissi a mia moglie: «Questa finale voglio proprio vederla con te». Victoria, che sa tutto, avrebbe detto «bugiardo», a mezza voce. Ma in effetti mia moglie era troppo indaffarata, per il fatto che stava diventando nonna per la seconda volta. Anch’io stavo per vivere le stesse ansie ed emozioni. Prima di tutto per il nostro mito, re Roger.

«Chiamami quando si gioca l’ultimo colpo», mi disse la mia compagna, anche lei tifosa di Federer (ci mancherebbe altro!). E così feci. Quando il basilese alzò la racchetta al cielo io gridai con la strozza in gola e feci un verso non troppo umano, che Cilic volle ricacciarmi in gola chiedendo di rivedere se la risposta del mito fosse dentro o fuori. La pallina, stavolta benevola, era andata a lisciare il pelo della linea. Quindi: dentro! Confesso che qualche lacrima di commozione mi ha rigato il volto. Insomma, stavolta prima di Federer.