Federalismo: aspettando la prossima riforma

/ 01.11.2021
di Angelo Rossi

La Confederazione svizzera, per grazia divina o merito dei politici che l’hanno creata, ha una struttura di governo federalista. Il potere politico è diviso tra la Confederazione, i Cantoni e i Comuni e questo dal 1848. A regolare le competenze di ciascun livello istituzionale intervengono le costituzioni che dovrebbero di norma rispettare il principio di sussidiarietà, stando al quale al livello superiore toccano unicamente le responsabilità che non possono essere attribuite al livello inferiore. Di fatto però, specie nella fase di applicazione delle leggi, l’esercizio del potere viene fatto in modo consociativo. Nell’eseguire i disposti legislativi intervengono quindi molte volte i tre livelli istituzionali, ovviamente con prerogative diverse, ma quasi sempre tali da creare più di un problema in fase esecutiva.

Insomma il federalismo, pur essendo il miglior sistema di governo per un paese che conosce tante disparità e tante differenze come il nostro, presenta almeno due difficoltà che occorre sempre tenere d’occhio. La prima è quella della bilancia del potere tra i tre livelli istituzionali che lo costituiscono, la seconda è quella dell’operare in modo efficace e efficiente di ciascun potere nella fase di esecuzione delle leggi. Siccome con il tempo tutte le cose evolvono non sorprende che, di tanto in tanto, queste difficoltà ritornino a far discutere e che, tra gli addetti ai lavori, si parli di riforme del federalismo. Così, all’inizio di questo secolo, il dibattito sulla ridistribuzione delle competenze tra la Confederazione e i Cantoni dominò per alcuni anni la scena politica federale. Nel novembre del 2004 la nuova ripartizione delle competenze venne approvata in votazione popolare in uno con le nuove disposizioni, pure nuove, riguardanti la perequazione finanziaria tra i Cantoni. Oggi non si discute più di ripartizione delle competenze o di impedire l’accentramento delle stesse. Sul tavolo delle discussioni ha fatto la sua apparizione un nuovo tema: la ripartizione del territorio nazionale in Cantoni.

Sono tre le varianti di questo dibattito. La prima è rappresentata dalle proposte di sostituire i Cantoni con più vaste regioni (da 5 a 8) funzionali. Vi sono poi diversi tentativi, che vengono rinnovati di tanto in tanto, di far nascere nuovi Cantoni aggregando due o più degli esistenti. Infine la terza variante di questa discussione è formata dalle proposte di dare maggiore autonomia agli agglomerati urbani per esempio, come suggerisce una recente proposta del Partito Socialista, trasformando gli agglomerati maggiori in semi-cantoni. La difficoltà è quella che, secondo noi, non potrà mai essere evitata in un sistema che vede concorrere tre livelli istituzionali nelle decisioni politiche e nell’esecuzione delle leggi. Un sistema di questo genere, che, per di più, è sempre alla ricerca del compromesso, non può essere che lento. Un sistema lento è un sistema costoso, quindi poco efficiente. Ma anche l’efficacia delle decisioni può essere messa in forse da un sistema lento. Questo succede specialmente quando sarebbe necessario intervenire rapidamente e in modo unitario, per evitare incombenti rischi e pericoli.

È quanto, per esempio, abbiamo sperimentato nella pandemia del Covid-19. Ed è anche quello che potrebbe succedere in futuro con frequenza se la probabilità di rischi e calamità naturali dovesse aumentare. Partendo da riflessioni di questo tipo due politologi dell’università di Berna, il prof. Adrian Vatter e la dottoranda Rahel Freiburghaus, hanno proposto di recente di creare, tra il livello federale e quello cantonale, un nuovo organo decisionale al quale dovrebbero partecipare la Confederazione e i Cantoni. In un articolo apparso di recente sulla «Neue Zürcher Zeitung» i due politologi si sono occupati soprattutto di dimostrare come tale organo potrebbe essere formato in modo, da un lato, di non superare il numero di dieci membri, e dall’altro, di garantire la rappresentatività dell’insieme dei Cantoni svizzeri. Che le decisioni tra questi due livelli debbano essere coordinate in modo da velocizzarne l’adozione è un dato di fatto incontestabile. Che una nuova istituzione paritetica lo possa fare, resta però da dimostrare.